Merito nostro

Ieri ho letto due interessanti articoli. Uno sulla solitudine, l'altro sulla spontaneità. Nel primo, l'autore, uno scrittore-giornalista inglese, si era impegnato a fare i conti con la sua “naturale” tendenza a starsene per conto suo. Un impulso legittimo e ragionevole o, come gli rinfacciava sua moglie, una tendenza antisociale e quindi, in un certo senso patologica? L'analisi dello scrittore era onesta e severa ma, tra le righe, egli tradiva con ingenuità l'intimo desiderio di essere assolto per le sue tendenze eremitiche.

Il secondo articolo, uscito su un importante giornale internazionale, sottolineava il paradosso della spontaneità come prodotto della più ostinata preparazione. L'autore coglieva due esempi legati alla grande musica classica: l'esecuzione della sonata “Hammerklavier” di Beethoven da parte del pianista Rudolf Serkin e la registrazione delle “Nozze di Figaro” di Mozart da parte del maestro Teodor Currentzis. Due capolavori di perfetta spontaneità ottenuti attraverso anni di pratica e di maniacale ripetizione di ogni dettaglio. In conclusione, la spontaneità, meraviglioso dono che l'uomo esprime all'insaputa di se stesso, può essere ottenuta a comando raggiungendola per via opposta, come la navigazione per le Indie.

Ciò che, ai miei occhi, legava i due articoli era il non dichiarato, ma evidente, desiderio di giungere a conclusioni in qualche modo già scritte nelle convinzioni più intime degli autori (la solitudine non è una malattia, la spontaneità è qualcosa che possiamo controllare), attraverso i sentieri di un ragionare in qualche modo oggettivo, ovvero universale. Di certo non ne faccio biasimo agli scrittori: ciò che rende davvero curiosa la presenza dell'uomo sulla Terra è questa ostinazione, a volte davvero poetica e drammatica, a voler costruire il mondo esattamente com'è, ma per propria volontà e iniziativa. Detto in due parole, ci riesce difficile esistere come se non ne avessimo il merito.

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