Ridicolo e terrificante insieme. Nei giorni scorsi i media hanno descritto le conseguenze dell'attentato di Manchester. Niente di strano, in questo. Quel che sorprenderà è che non solo hanno descritto ciò che è accaduto ma anche, e con dovizia di particolari, ciò che non è accaduto.
Lo rivela un'inchiesta del Guardian: nell'ansia di informare, e di informare per primi, o forse anche spinti dal desiderio di rendersi utili, i media, nelle prime ore dopo l'attentato, hanno raccolto e rilanciato decine di appelli, pubblicati via social, di persone preoccupate per la sorte di parenti e amici presenti nell'arena colpita dal kamikaze. “Mio figlio non risponde al telefono. Questa è la sua foto. Vi prego aiutatemi!” O ancora: “Questo è il mio fratellino Frank. Eravamo al concerto insieme e non riesco più a trovarlo!” Decine di foto, decine di appelli accorati, (quasi) tutti con un tratto comune: falsi come una moneta da tre euro.
Perché molti, in quelle ore tremende, si siano divertiti (?) a diffondere appelli fasulli è uno dei quegli interrogativi che affondano nella tipica oscurità psicologica da web. Domanda ancor più allarmante è perché i media “veri”, quelli impostati secondo i crismi del giornalismo professionale, ci siano cascati. Le ragioni sono quelle di cui sopra: l'ansia di “esserci”, di informare, di “arrivare prima” e di “aiutare” spinge i giornalisti ad abbassare gli standard professionali. Le verifiche sono sospese, il pensiero critico messo da parte: conta solo la velocità, il ritmo, l'accumulo di materiale emotivo. E c'è chi ne approfitta.
Uno degli sciacalli ha ammesso: “Si crea online una gara a far fessi i giornali. Più giornali si ingannano più la falsa notizia guadagna credibilità”. Tutto questo lascia solo macerie: la gente non si fida più dei giornali e presto i giornali non si fideranno più della gente. Rimarrà solo l'atto compulsivo e inutile di pubblicare. Messaggi in bottiglia da gente ubriaca per gente impazzita.
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