Mi porti i saluti

Non è raro che qualche lettore mi chieda di portare i suoi saluti alla signora Malinpeggio. «Una donna» è spesso l’aggiunta, «così simpatica». Appena ne ho l’occasione, consegno sempre il saluto alla destinataria, completo di elogio: «La saluta il tale: dice che è simpatica»; «Il talaltro mi dice di portarle i suoi omaggi, sostiene che lei è il suo idolo».

La signora di solito accoglie queste ambasciate con un cenno del capo e senza commento alcuno. Ieri, piena di buonumore per una grigia giornata che noi umani avremo senz’altro catalogato come deprimente, ha invece voluto affrontare di petto la questione.

«Così lei è uno di quelli che consegna i “salutami”» ha detto.

«Prego?»

«Lei è una di quelle persone che quando viene incaricata di salutare qualcuno lo fa sempre e comunque».

«Direi di sì».

«Si rende conto che si tratta di una convenzione sociale che non siamo strettamente tenuti a rispettare? Il “salutami il tale” è indirizzato al messaggero e non al destinatario. Esempio. Se io le dico “Mi saluti sua moglie” in realtà intendo dire: “Vede che mi ricordo di lei? So che ha una moglie e formalmente estendo a lei il raggio della mia cordialità”. Questo è sufficiente: non mi aspetto che lei vada da sua moglie a riferire il messaggio come farebbe il fattorino».

«Ne deduco che lei, incaricata di salutare qualcuno, si guarda bene dal farlo».

«È così. Inoltre non chiedo mai a nessuno di consegnare i miei saluti. Con un’eccezione».

«Quale?».

«Quando mi rendo conto che il tizio a cui lo chiedo è ingenuo abbastanza per farlo».

«Signora Malinpeggio, se lo lasci dire: lei ha una concezione ben strana della vita».

Ha sorriso: «Ah, la vita: me la saluti...»

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