Migliore di noi

Per quanto fieri, a parole, della nostra indipendenza di giudizio e dell’apertura mentale con la quale ci vantiamo di guardare al mondo, la verità è che viviamo sorretti da una fitta rete di pregiudizi. Sono, questi, nient’altro che scorciatoie: poiché non possiamo (o non vogliamo) valutare il prossimo attraverso esami approfonditi, tagliati su misura, procediamo per generalizzazioni. I pregiudizi più comuni sono per genere e razza.

Le donne, per esempio, vengono d’istinto considerate potenzialmente più affettuose ma meno competenti. Le persone dai tratti asiatici ci rimandano a loro volta un segnale preciso: li pensiamo dedicati ma freddi. Non andiamo poi a scavare in quei pregiudizi che a razza e genere associano caratteristiche negative come disonestà, furberia, impulsi violenti: finiremmo per essere costretti a riaprire vergognose pagine di Storia.

Combattere il pregiudizio, come sappiamo per esperienza, non è facile. Parlarne serve, senza dubbio, ma una volta che l’attenzione diverge verso un altro tema, esso recupera il terreno perduto, in virtù della facilità con il quale ci dà la sensazione di riempire il nostro pensiero, di facilitarlo, quando in realtà lo corrompe e lo inganna. Se solo si trovasse un antidoto durevole contro il pregiudizio, l’umanità ne trarrebbe un gran beneficio.

Ebbene, esultiamo: l’antidoto di cui sopra è stato trovato. Parrebbe uno scherzo: l’antidoto è il sorriso. Lo dice uno studio condotto dalla Georgetown University, a Washington, negli Stati Uniti: il sorriso ha un effetto straordinario sui pregiudizi. Non sarà forse in grado di cancellarli, di scioglierli come ghiaccio nel Martini, ma è molto efficace nel confonderli. Lo fa inviando un segnale inequivocabile, che contrasta con le nostre convinzioni: un raggio di calore opposto al gelo dell’errore incarnato. Giusto quel che serve ad aprirci al dubbio, ovvero alla possibilità che possa esistere qualcosa migliore di noi.

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