Miracolo grigio

Miracolo grigio

Apro gli occhi, la mattina, e vedo grigio. Non è un caso di depressione incombente: si tratta di una questione squisitamente cromatica. Una luce grigia, uniforme e quasi lattea, mi attrae alla finestra. Ogni cosa, naturalmente, è al suo posto: tutto quello che mi piace (la profondità degli alberi in lontananza) e quello che mi piace meno (il camion della spazzatura, avanzando ottuso, emette clangori inopportuni prima di sparire dietro la curva). Non si può dunque dire che ci sia qualcosa di diverso, se non fosse che tutto ciò che è rimasto uguale è anche diventato più grigio.

Rimango alla finestra e ho come una folgorazione. No, sbagliato: non è una folgorazione. Piuttosto, mi capacito di un’impressione altamente invasiva: il colore che domina lo scorcio è un colore da pittori. Sembra quasi  che per una volta sia stata la natura a copiare dall’arte e non viceversa. Mi accorgo di guardare le cose come fossero in un quadro: le riconosco come vere e tuttavia giurerei che a stenderle sia stato un pennello. Stringo gli occhi e per un momento afferro perfino i contorni delle singole pennellate, il mosaico paziente delle macchie che compongono il tutto, i piccoli aggiustamenti, le correzioni, i tratti vigorosi come quelli più incerti.

Bello questo mondo dipinto: avvicina lo sforzo della natura al nostro impegno di vivere, riduce la disinvolta bellezza del creato alla commovente imperfezione del lavoro umano.

Vedo anche uno scorcio di strada ma, a quest’ora, non passa nessuno. Peccato: una figura umana, in questo quadro, ci starebbe bene. E poi, gli uomini e le donne dei quadri mi sono sempre sembrati più puri, stoici ed essenziali di quelli reali. Mi ritiro dalla finestra ringraziando - per la prima volta in vita mia - un miracolo grigio.

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