Mulino Nero

Mi rendo perfettamente conto che abbiamo problemi più gravi. Mi correggo: mi rendo conto che abbiamo problemi veri, e che questo non lo è. Tuttavia, per un curioso fenomeno che la scienza, forse, farebbe bene a indagare, tutto ciò che appare in televisione sembra ci riguardi e tutto ciò che ci riguarda, prima o poi, diventa un problema.

Mi riferisco alla ormai prolungata prigionia in cui il Mulino Bianco costringe Antonio Banderas. Non ho mai provato particolare ammirazione o simpatia per l’attore spagnolo, ma vederlo invischiato tra tarallucci e frollini, impegnato a impastare, infornare, allungare manicaretti ai bambini e, quello che è peggio, parlare da solo o con le galline, è quanto di più triste la televisione abbia offerto in questi ultimi anni.

Viene voglia di andare a bussare al Mulino Bianco (oppure ci sarà un citofono?) e pregarlo di uscire. «Vieni giù, Antonio! Per il tuo bene. Ti ricordi i tempi di Almodovar? Matador, eh? La legge del desiderio? E Zorro? Non ti ricordi di Zorro? Non ti andrebbe di rifare Zorro?»

Niente: il Mulino Bianco sembra aver gettato un incantesimo sul povero Banderas, incapace di lasciare il perimetro del fantastico edificio così come, tanto per rimanere in ambito cinematografico, al cast dell’"Angelo sterminatore" di Buñuel riusciva impossibile uscire dalla magione di Calle de la Providencia.

Uno scherzo, si capisce. Banderas è certamente felice che la sua immagine sia rimasta intrappolata nel Mulino perché, taralluccio dopo taralluccio, il suo conto in banda lieviterà meglio di un frollino. Fossimo in lui, oltretutto, ci scapperebbe da ridere: perché mentre in tanti abbiamo l’impressione che il prigioniero sia lui, a essere intrappolati dalla pubblicità siamo proprio noi.

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