Ha fatto molto rumore la notizia che, in provincia di Como, un giovane sia stato multato (218 euro) per essersi fermato a lato della strada in automobile lasciando accesa l’aria condizionata. Per quanto giustificato dalla violazione di un articolo del Codice della strada - 157, comma 7 bis - il provvedimento ha suscitato proteste pressoché unanimi. Questo, credo, per tre ragioni: 1) la gente chiede che la legge venga applicata, sì, ma “cum grano salis”, espressione latina che vuol dire “con la grana degli altri”, 2) il caldo incombente crea un sentimento di solidarietà, così come, d’inverno, fanno la neve e il freddo: una sanzione a chi cerca di difendersi dal disagio viene vista come un affronto alla collettività oppressa e sudaticcia, 3) i vigili - non me ne voglia la categoria - stanno un po’ sull’anima a tutti.
Ciò detto - e aggiunto che, nel caso, il “trop de zèle” appare evidente - bisogna però dire che la crescente diffusione delle emissioni da aria condizionata qualche problema lo sta creando. Non si deve dimenticare che se tali impianti soffiano aria fredda da una parte, ovvero negli ambienti chiusi, dall’altra buttano fuori, all’aperto, una sorta di “mistral” surriscaldato. In alcuni centri urbani a particolare densità di aria condizionata è stato calcolato che la temperatura aumenta “artificialmente” di circa un grado. Può sembrare poco, ma non lo è affatto, soprattutto se si considera che scopo generale dell’ambaradan è di rinfrescare, e non scaldare, l’ambiente in cui viviamo.
A suscitare qualche apprensione è soprattutto il fatto che, al contrario di quella che si occupa di riscaldamento, l’impiantistica per l’aria condizionata è in enorme sviluppo, specie in Paesi in cui l’economia sta crescendo. Buon per loro, certo, meno per il pianeta. Dunque, comprensione per l’automobilista di cui sopra, ma anche consapevolezza che perfino le emissioni di un’auto feriscono l’ambiente. Mai quanto, tuttavia, quelle dell’impianto eventualmente installato nell’ufficio dove lavorano i vigili che l’hanno multata.
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