Nella versione inglese, proposta con una certa controllata sorpresa dal quotidiano «The Telegraph», si chiamano «mushroom hunters». E pensare che noi, schiva popolazione raggruppata sulle ombreggiate balze prealpine, li avevamo sempre definiti «fungiatt».
I «fungiatt» - pardon, i «mushroom hunters» - hanno attirato l’attenzione della stampa britannica per una loro singolare caratteristica: tendono a morire in allarmanti quantità. Lo so: non c’è niente da ridere; si tratta di vere e proprie tragedie. Curioso, però, è il fatto che gli inglesi sembrino intravedere in tutto ciò una bizzarria - non l’unica, per la verità - tutta italiana. Nel registrare «18 decessi in 10 giorni», il quotidiano inglese specifica che essi sono occorsi in seguito a «cadute in crepacci e gole», e ad altri « «infortuni fisici», piuttosto che «dall’aver inavvertitamente mangiato funghi velenosi». Il cittadino britannico, se ne deduce, troverebbe più naturale se il cercatore fosse morto nel divorare la sua preda piuttosto che nello sforzo di catturarla. Questo è comprensibile: sulla tavola degli inglesi ancora troppo spesso è difficile distinguere tra cibi commestibili e composti tossici. Meno comprensibile è la sufficienza con cui in Gran Bretagna ci si interroga sulla passione di questi cercatori, disposti a rischiare la vita addentrandosi nel «profondo dei boschi» pur di trovare un degno porcino. In effetti, potrebbe essere una passione difficile da spiegare. Almeno quanto quella di chi, per correre appresso a una volpe, fa sfoggio di cavalli e giacche rosse.
I «fungiatt» - pardon, i «mushroom hunters» - hanno attirato l’attenzione della stampa britannica per una loro singolare caratteristica: tendono a morire in allarmanti quantità. Lo so: non c’è niente da ridere; si tratta di vere e proprie tragedie. Curioso, però, è il fatto che gli inglesi sembrino intravedere in tutto ciò una bizzarria - non l’unica, per la verità - tutta italiana. Nel registrare «18 decessi in 10 giorni», il quotidiano inglese specifica che essi sono occorsi in seguito a «cadute in crepacci e gole», e ad altri « «infortuni fisici», piuttosto che «dall’aver inavvertitamente mangiato funghi velenosi». Il cittadino britannico, se ne deduce, troverebbe più naturale se il cercatore fosse morto nel divorare la sua preda piuttosto che nello sforzo di catturarla. Questo è comprensibile: sulla tavola degli inglesi ancora troppo spesso è difficile distinguere tra cibi commestibili e composti tossici. Meno comprensibile è la sufficienza con cui in Gran Bretagna ci si interroga sulla passione di questi cercatori, disposti a rischiare la vita addentrandosi nel «profondo dei boschi» pur di trovare un degno porcino. In effetti, potrebbe essere una passione difficile da spiegare. Almeno quanto quella di chi, per correre appresso a una volpe, fa sfoggio di cavalli e giacche rosse.
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