Non sarebbe sbagliato sostenere che, nella società umana, le divisioni in gruppi, fazioni, bande e schieramenti ci sono sempre state. Senza neppure aprire il libro di Storia vengono in mente Guelfi e Ghibellini, Mario e Silla, Nordisti e Sudisti, Coppi e Bartali. Eppure, oggi, tali divisioni sembrano aver preso una colorazione tutta particolare, più volatile e, insieme, più aspra, isterica e nello stesso tempo piagnucolosa. Un’impressione, niente di più, eppure alcuni osservatori la confermano e sono arrivati a coniare, per essa, una definizione precisa: «Narcisismo collettivo».
La tendenza che, oggi, tanta gente ha ad affermare pubblicamente (o, per meglio dire, attraverso gli strumenti di socializzazione digitale) la propria posizione politica e ideologica, lungi dall’essere manifestazione di un sincero desiderio di partecipare al progresso sociale, è in realtà una forma di pavoneggiamento che, passando attraverso il reciproco riconoscimento con i propri “simili”, si traduce poi nell’ostilità aperta verso i “dissimili”.
Un articolo nell’European Journal of Personality raccoglie i risultati di cinque studi condotti su altrettanti episodi di narcisismo collettivo a carattere ostile. Un esempio per tutti: la vampata di nazionalismo che ha portato molti turchi a esultare per la crisi economica europea dopo che il loro Paese era stato, secondo il loro modo di vedere, “umiliato” dal rifiuto dell’Ue di concedere l’ammissione. Un meccanismo di “schadenfreude” (gioia per le sfortune altrui) collettiva che vediamo replicato in continuazione in giro per il Continente così come nel mondo (e l’Italia non ne è certo esente).
Diverte, in tutto ciò, la constatazione degli studiosi che il narcisismo collettivo non è diverso da quello individuale: in entrambi i casi si manifesta come un atteggiamento di risolutezza tesa a nascondere una profonda insicurezza. E ancora una volta si conferma di conseguenza una verità fondamentale: coltivare il dubbio è attività per gente sicura di se stessa.
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