Naufragio totale

Incoraggiato dalla convinzione che non è mai troppo tardi per ammettere i propri errori, vorrei confessarne uno, premettendo che si tratta di materia affine alla stesura di questa rubrica.

Qualche giorno fa, nel rovistare il cassetto delle idee per la “Buonanotte” quotidiana - contenitore situato giusto dietro la mia fronte - ho accarezzato per qualche minuto il desiderio di scrivere sullo sciopero degli avvocati che, a Grosseto, aveva impedito la ripresa del processo per il naufragio della Costa Concordia. Già sentivo sgorgare in me la lava dell’indignazione: avrei potuto sfornare senza sforzo un bel pistolotto, aggiungendovi magari il condimento dell’ironia. Mi sarebbe bastato ricordare Schettino, comandante del pattino, la sua aria offesa per essere stato tirato in ballo per quello che egli sembra considerare poco meno di un tamponamento, e il “pezzo” si sarebbe scritto da solo.

Poi, stranamente, ho avuto una crisi di rigetto: per Schettino, la Costa Concordia e per gli scioperi tutti, che siano degli avvocati, dei ferrovieri, dei giornalisti o dei ballerini di flamenco. A questa, ho aggiunto una crisi professionale: «Che cosa ne so io delle ragioni degli avvocati? Perché dovrei sindacare sul loro diritto di fare sciopero? Scrivi, per una volta, di ciò che sai».

Poiché la verità è non so nulla, vi sarete beccati un articolo di aria fritta. Leggo invece che lo sciopero di Grosseto è stato criticato dalla Cnn. La giornalista Erin Burnett non ha esitato a trasformarlo nell’esempio preclaro di un Paese allo sbando. Ieri, nel Corsera, Marco Imarisio le ha dato ragione, pur dichiarando che ammettere le nostre debolezze «fa male». Farà pure male ma, per me, è stata una sveglia: anch’io, nel mio piccolissimo, mi ero lasciato crescere addosso la tipica incrostazione morale italiana, quella che impedisce, tra l’altro, di riconoscere un processo per ciò che è: il rito attraverso il quale le vittime chiedono finalmente giustizia e non un’occasione offerta agli avvocati per protestare. La consolazione è che questo processo prima o poi riusciremo comunque a finirlo: in fatto di naufragi, nessuno ha niente da insegnarci.

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