Non voglio farvi credere che io possegga una vasta collezione di libri: sarebbe una bugia. Diciamo piuttosto che non posseggo spazio a sufficienza per contenere la modesta collezione che effettivamente ho. Questo spiega le cataste di libri che mi circondano.
Situazione d’emergenza davanti alla quale invece di pensare a soluzioni pratiche, scivolo in una riflessione: i libri sono un piacere o una consolazione? Facciamo il caso che, per un momento, vi sentiste perfettamente felici e che quel momento coincidesse con del tempo libero. Che cosa fareste? Allunghereste la mano verso un libro, decisi a immergervi nella lettura perché graziati dall’umore ideale per gustarvela, o preferireste “sfogare” la felicità in qualche altro modo: una corsa nei prati, una fetta di torta al limone della signora Malinpeggio, un vecchio disco di Stan Getz?
Riportando la questione al personale: io sono circondato da cataste di libri perché, nella vita, ho avuto bisogno di molte consolazioni o perché avvezzo a un piacere?
Benché in questo dilemma mi ci sia ficcato da solo e senza motivo alcuno, sento che la risposta potrebbe essere fondamentale. Potrebbe infatti decidere tra una vita pienamente vissuta e un’altra condotta sostanzialmente in difesa, impostata per arginare al meglio le delusioni. Un argine fatto del miglior materiale possibile – il genio degli scrittori di ogni epoca, da Omero a Wodehouse – ma sostanzialmente nient’altro che un muro, o se preferite un vallo scavato tra me e qualcosa che non sarei in grado di affrontare.
Devo dire che, nel cercare una risposta, l’istinto mi indurrebbe a sfogliare un libro, piuttosto che a uscire in strada e interrogare l’esperienza vissuta. Dovrei forse rivolgermi a Tacito, i cui Annali da tempo immemore mi aspettano sullo scaffale (per rispetto alla veneranda età dell’autore li ho tolti dalla catasta) oppure a qualche remoto testo presocratico? Nel dubbio, mi sono messo a scrivere questo. Anzi, direi così: per non sapere né leggere né scrivere, scrivo.
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