Mai visto, ieri mattina, tanta gente nervosa perché non nevicava. Non proprio alterata, questo non lo direi, ma un poco indisposta, seccata. Uno stato d’animo aperto al sarcasmo più acidulo. Ho perfino letto, su un social network, una scivolata di impazienza: «Ma allora, nevica o no?»
Il fatto, vedete, è che le previsioni del tempo e di conseguenza i media che le riportano, avevano «annunciato» una nevicata. Che non è arrivata, almeno non nei modi o nei tempi che, con il rigore e la precisione cui ormai ci hanno abituati, i summenzionati meteorologi avevano previsto.
Suppongo sia un fatto naturale: quando ci si mette in mente qualcosa e si entra nello stato d’animo che a quella cosa ci predispone, in qualche modo è difficile uscirne, fosse una vacanza, un appuntamento dal dottore, una cena al ristorante e, così pare, perfino una tormenta di neve.
In più - e forse soprattutto - ci si è messo un pensiero collettivo che, in luogo della mancata nevicata, è sceso ieri, soffice e uniforme, sulle nostre teste: «Non ci si può proprio fidare di nessuno». Laddove, «nessuno» significa in realtà «tutti»: i meteorologi, i mezzi di informazione, la scienza, la tecnologia, Internet, il governo, la Casta, i burocrati e quelli che, in generale, messi in una situazione di responsabilità si rivelano incompetenti oppure se ne approfittano.
Siamo talmente abituati a farci sentire, magari solo con un mugugno su Facebook, contro inadempienze, ritardi, blackout amministrativi e promesse vaghe, da interpretare come un disservizio perfino l’ inaspettato silenzio della Natura, il suo rifiuto - più propriamente: la sua indifferenza - a piegarsi a tabelle di marcia umane, algoritmi macinati dai computer, analisi costruite su rilevazioni afferrate al volo dai satelliti, simulazioni di derivazione statistica. E, quel che è peggio, al primo fiocco non ci sarà né sollievo né soddisfazione. Ma ancora rabbia: «Che adesso, almeno, ci sappiano dire quando smette!»
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