Niente di importante

Niente di importante

In chi scrive regolarmente, come io faccio grazie anche a questa rubrica, prima o poi insorge un desiderio. Non so neppure se desiderio è la parola giusta: potrei sostituirla con "esigenza", forse, o ancora meglio con "tentazione". Per farla breve, questo ibrido di "desiderio", "esigenza" e "tentazione" sarebbe una spinta verso lo scrivere di cose che contano. Già: ma quali sono le cose che contano?
A questa domanda ognuno di noi ha una risposta pressoché identica: le cose che contano sono i nostri cari, la nostra famiglia, gli amici. Volendo insistere, pretendendo che si identifichino le cose che contano "per tutti", allora si ottengono risposte più vaste che generiche: la sofferenza, la felicità, la libertà la vita, la morte, Dio. Ma giunti su questa spiaggia quasi tutti restiamo in stallo, perché navigare per certi mari esige coraggio e presunzione, mentre noi, ammettiamolo, siamo "gente" o, nel migliore dei casi, "persone". Eppure c’è in noi un desiderio di profondità, un bisogno di raccontare i fatti drammatici della vita - le nascite, le morti - superandone le esperienze sensoriali: "ricordo il corridoio dell’ospedale"; "non dimenticherò la faccia dell’infermiera"; "pioveva ininterrottamente da tre giorni".
Chissà, forse questo desiderio nasconde una paura. Quella che un giorno, lasciato questo mondo, qualcuno possa chiederci: "Ebbene? Come è andata dall’altra parte? Che cosa è successo?" Inferno sarebbe dover rispondere: "Niente di importante".

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