Niente di niente

Niente di niente

Le immagini di Morgan De Sanctis, portiere del Napoli, che non esulta e anzi si arrabbia quando la sua squadra fa gol, diventano, a pensarci bene, il paradigma di un mondo ormai troppo complicato per menti semplici come le nostre.

Restando nell’ambito del calcio, un tempo, se la Nazionale italiana vinceva il campionato mondiale di calcio, tutto il Paese scendeva in piazza a festeggiare. Poteva essere uno spettacolo eccessivo, una caciara a volte greve, ma non c’erano dubbi sulla sua polarità e nessun sospetto di possibile ambivalenza: ha vinto l’Italia, viva l’Italia. Oggi, un eventuale successo degli azzurri spiacerebbe alla parte secessionista della popolazione, verrebbe snobbata da quella con pretese intellettuali, impoverirebbe gli scommettitori che, leggendo un forum in Rete, avevano puntato tutto sull’Ucraina, e finirebbe per essere letta, in chiave politica, come uno schiaffo all’Europa: in altri termini, un gol di Quagliarella potrebbe far decrescere il Pil di due punti e impennare lo spread di venti.

Il problema è che non possiamo più fidarci delle nostre emozioni: potremmo esultare per qualcosa di sbagliato e immalinconirci per una disgrazia in realtà benefica. Davanti all’inversione della logica emotiva di De Sanctis restiamo spiazzati, sospettiamo il peggio, annusiamo il complotto e, infine, temiamo di passare per ingenui. Così, per non sbagliare, a nessuno gliene frega più niente di niente.

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