Vi capisco: avete sentito parlare della crisi in tutte le salse, da destra e da sinistra, da sopra e da sotto, di sbieco e di traverso. Soprattutto, la crisi la vivete - la viviamo - ogni giorno e parlarne, se non per un fine preciso, finisce per avere un effetto perverso: dilungarsi sui propri acciacchi, in fondo, non fa che aumentarli.
Ciò premesso, temo che non riuscirò ad astenermi dal dire qualcosa sull’ennesimo indicatore della crisi che mi è capitato sotto gli occhi: il calo delle vendite dello champagne. Lo hanno riportato a chiare (e grandi) lettere i giornali economici di mezzo mondo.
Nei primi nove mesi dell’anno le vendite dello champagne sono calate del 5 per cento. I produttori sperano nella tradizionale impennata di consumi che si registra a fine anno ma, per quanto ci si possa dar dentro con le feste (e non è che potremo darci dentro poi quanto), non basterà comunque a recuperare le perdite. A questo, si aggiunge il fatto che l’ultima vendemmia è stata disastrosa (circa il 40 per cento in meno del raccolto): i prezzi, dunque, saliranno senz’altro e le vendite non faranno che calare ancor di più.
Sembra superfluo (e anche un po’ irritante) disquisire sui dolori dello champagne quando ci sono problemi ben più gravi e, visto il più recente tasso di disoccupazione, c’è gente che non riesce a mettere in tavola la gazzosa, altro che il Dom Pérignon. Diciamo allora che il declino, speriamo temporaneo, dello champagne aggiunge un tocco di tristezza, di malinconia quasi, a un dipinto già fosco. Il simbolo stesso del lusso e della raffinata leggerezza del vivere (quasi un prodotto ottenuto dalla spremitura del più lieve spirito umano) si arrende all’evidenza di tempi che non sono più quelli che erano. In Europa c’erano (e ci sono) un sacco di cose brutte ma non ci è mai mancata la sete per un poco di eleganza e di classe. Oggi, anche se l’avessimo, non sapremmo più come placarla.
Ciò premesso, temo che non riuscirò ad astenermi dal dire qualcosa sull’ennesimo indicatore della crisi che mi è capitato sotto gli occhi: il calo delle vendite dello champagne. Lo hanno riportato a chiare (e grandi) lettere i giornali economici di mezzo mondo.
Nei primi nove mesi dell’anno le vendite dello champagne sono calate del 5 per cento. I produttori sperano nella tradizionale impennata di consumi che si registra a fine anno ma, per quanto ci si possa dar dentro con le feste (e non è che potremo darci dentro poi quanto), non basterà comunque a recuperare le perdite. A questo, si aggiunge il fatto che l’ultima vendemmia è stata disastrosa (circa il 40 per cento in meno del raccolto): i prezzi, dunque, saliranno senz’altro e le vendite non faranno che calare ancor di più.
Sembra superfluo (e anche un po’ irritante) disquisire sui dolori dello champagne quando ci sono problemi ben più gravi e, visto il più recente tasso di disoccupazione, c’è gente che non riesce a mettere in tavola la gazzosa, altro che il Dom Pérignon. Diciamo allora che il declino, speriamo temporaneo, dello champagne aggiunge un tocco di tristezza, di malinconia quasi, a un dipinto già fosco. Il simbolo stesso del lusso e della raffinata leggerezza del vivere (quasi un prodotto ottenuto dalla spremitura del più lieve spirito umano) si arrende all’evidenza di tempi che non sono più quelli che erano. In Europa c’erano (e ci sono) un sacco di cose brutte ma non ci è mai mancata la sete per un poco di eleganza e di classe. Oggi, anche se l’avessimo, non sapremmo più come placarla.
© RIPRODUZIONE RISERVATA