Goethe non ci aveva capito niente, Newton quasi tutto. Gli scienziati, nel tentativo di capirci ancora di più, sono arrivati ai limiti delle umane possibilità di ragionamento. Tutti gli altri, si limitano a goderne.
Parlo della luce, e anche dei colori che dell’incontro tra luce e materia sono il prodotto. A essere più precisi, i colori sono l’effetto che l’incontro tra luce e materia produce sui nostri recettori visivi. Tuttavia, qualunque strada scientifica si percorra nel discorrere di luce e colori - magari finendo per tirare in ballo fotoni, livelli energetici e onde elettromagnetiche - c’è qualcosa nella vibrazione cromatica dell’universo che non può essere afferrato in laboratorio.
I colori non raggiungono soltanto i recettori e attraverso di essi il sistema nervoso centrale: entrano più in profondo, inondando quella che un tempo si sarebbe chiamata anima e che ora attende qualche neurologo per vedersi conferire un nome adatto ai tempi. In ogni caso, i colori sono avanti anni-luce (ovviamente) nella conoscenza degli umani rispetto agli umani stessi.
È questa una considerazione che ha incominciato a formarsi in me quando un’amica mi ha mostrato le fotografie scattate alla rassegna florovivaistica “Orticolario”. Le prime foglie autunnali, l’opalescenza del lago e l’ostinazione dell’erba che, inscurendo, misteriosamente guadagna in brillantezza: sfumature che i colori e la luce assumono in grazia della stagione, delle nuvole, della posizione geografica.
La sensazione che tutto ciò provoca in noi è ancora più molteplice, perché interferisce con l’umore del momento, con le speranze, i sogni, le ossessioni e soprattutto con la levità che, condizione agognata ma spesso impossibile, ci ostiniamo a custodire. Un complicato gioco di specchi: di volta in volta, di stagione in stagione, esso ci fa felici o malinconici, disperati o esultanti. Ma sempre prodotti minuti e trepidi dello spazio immensurabile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA