Noi, in coda

Riferiscono i giornali di come, venerdì, 160 maiali abbiano «bloccato l’Italia». La considerazione spontanea quanto ovvia è che se fossero soltanto 160, i maiali che bloccano l’Italia, faremmo abbastanza in fretta a rimuoverli e a rimettere il Paese in carreggiata. La notizia non parlava però di maiali in senso figurato, ma di maiali veri e propri, suini destinati, immagino, a diventare prima o poi insaccati o costolette.

Il fatto che 160 di loro si siano dispersi sull’Autosole in seguito a un incidente è l’evento che ha «bloccato l’Italia». La fondamentale arteria stradale si è chiusa costringendo gli automobilisti a incolonnarsi. I giornali precisano che il mostruoso ingorgo è durato circa 12 ore.

Per fortuna non ero tra le migliaia di persone inscatolate e invischiate nell’orrido gomitolo di lamiera e ossido di carbonio, ma questo non mi impedisce di sentirmi partecipe del loro disagio. Nell’esperienza di tutti, credo, c’è l’esser rimasti in coda per qualche minuto o per qualche ora; soprattutto, non manca certamente la conoscenza dell’attesa. Chiunque può testimoniare del tempo che pare rallentare, della noia che si fa perfino dolorosa, dello sbadiglio che sconquassa le mascelle e dei pensieri maligni che, ripetendosi, cercano una disperata fuga dal cervello.

Delle code in autostrada, però, mi piace (?) rievocare la curiosa sensazione dell’incontro improbabile. Ciò accade quando, a causa della lunga sosta forzata, ci si ritrova a squadrare, dal finestrino, uno cespuglio spoglio, uno spartitraffico di cemento, una pozzanghera o un campicello brullo: un angolo di mondo che, a 120 all’ora o anche meno, non avremmo degnato di uno sguardo e che, quando l’ingorgo si scioglie, nulla lascia nella nostra memoria. Per un’ora o due, esso è tuttavia tutto il nostro mondo, limita le nostre possibilità, piega il pensiero e ci costringe al lacrimevole pensiero della finitezza.

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