Dice Amazon che anche quest’anno la città in cui si legge di più in Italia è Milano. Dice sempre Amazon che appena dietro a Milano ci sono Roma e Torino e che la sorpresa del 2020 è Napoli: per la prima volta entra nella “top ten”. Alessandria, Siracusa e Foggia sono invece le città in cui si legge di meno: potremmo divertirci a prenderle un po’ in giro, qui, ma a che pro? Tanto non ci leggeranno mai.
Amazon, si intende, fa i conti solo in casa: le città dove «si legge di più» sono dunque quelle in cui ha venduto più libri, sia in formato cartaceo sia digitale. Ovviamente Amazon non è l’unico marchio che si occupa del commercio di libri, esistono altri negozi online e da qualche parte si annidano perfino le librerie: la classifica non può pertanto avere valore scientifico ma, al massimo, offrire un’indicazione statistica. Potremmo poi addentrarci nei dettagli e scoprire che Milano vince in tutte le categorie rappresentate - cartaceo, digitale, non-fiction, motivazionale, rosa, eccetera - e che Napoli eccelle nella lettura di testi economici mentre i veronesi, sarà l’eredità lasciata da Giulietta e Romeo, amano la narrativa rosa.
Il punto però è un altro: la classifica diffusa da Amazon, e ripresa da non pochi media a livello nazionale, è retta da una tacita premessa che nessuno oserebbe discutere: leggere è cosa buona e dunque le città che più leggono, come Milano e Roma, sono città virtuose mentre quelle che non aprono un libro neanche a morire, come Alessandria, Foggia e Siracusa, dovrebbero vergognarsi (ancora: ma che lo scriviamo a fare?)
Eppure, viste le abitudini digitali che vanno radicandosi, considerata la consuetudine ormai diffusissima ad accogliere informazioni per vie intersecanti e contaminate (video, audio, parola scritta, infografica e perfino linguaggio emoji) è giusto chiedersi se, in effetti, l’ostinata adesione al modello libro, al rito della lettura come inteso per tradizione, ancora necessariamente equivalga a un vantaggio, se non a una superiorità, intellettuale.
In effetti, quelli della mia generazione - qui parla un cinquantenne - considerano la lettura, e il possesso dei libri, una pratica culturale, nonché una forma di stile, assolutamente necessaria all’apprendimento, all’intrattenimento intelligente e, in generale, alla cura dell’intelletto. Una convinzione talmente radicata da impedirci di controllare se per caso, là fuori, qualcuno abbia imparato a fare altrettanto con sistemi diversi e se magari qualcun altro ha smesso di fare graduatorie arbitrarie tra i veicoli di trasmissione della cultura. Nella classifica tradizionale i libri stanno ancora al primo posto, non c’è dubbio, ma le classifiche tradizionali vengono generalmente ignorate da chi con la tradizione non ha nulla a che vedere.
Potremmo concludere che il bello della cultura sta proprio nel fatto che, nel tempo, aggiunge nuovi veicoli di trasmissione senza cancellare del tutto i precedenti e con questo ottiene un’amplificazione della sua circolazione e non il contrario. Leggere rimane virtuoso, ma virtuosi sono anche altri mezzi per aprire gli occhi e le orecchie al mondo. Resta poi il problema di cosa, in realtà, leggiamo, guardiamo e ascoltiamo. Forse Amazon, che tutto comprende e tutto vende, potrebbe aiutarci stilando una classifica qualitativa e non solo quantitativa. Anche Alessandria, Foggia e Siracusa potrebbero partecipare: basta non mandare loro l’invito per lettera.
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