Gli Stati Uniti hanno riconosciuto che un altro loro “drone” - un aereo militare radiocontrollato senza pilota a bordo - è precipitato: questa volta nelle Seychelles. Il primo episodio risale a neppure dieci giorni fa, quando un altro apparecchio perse quota e finì per schiantarsi nel cortile dell'Iran.
Abbiamo scritto “cortile” perché questa faccenda dei droni americani che si fracassano in casa altrui ricorda un po' quanto accadeva durante le estati di parecchi anni fa e, forse, ancora accade oggi anche se, temiamo, con minor frequenza.
Allora, folte compagnie di ragazzini impegnate in giochi di strada si ritrovavano spesso nella stessa situazione in cui si trova attualmente il governo americano: qualcosa (un pallone, un aquilone, le scarpe di uno del gruppo e, in qualche caso, perfino la sua bicicletta) finivano oltre una recinzione. L'operazione di recupero comportava un certo imbarazzo: bisognava suonare il campanello di megere ostili (le megere non ostili erano rarissime), anziani strappati al sonnellino, ragazzini felicissimi di essere venuti in possesso di materiale letteralmente piovuto dal cielo, omaccioni urlanti in varie fogge: scamiciati, baffuti, paonazzi.
Si imparava così l'arte della diplomazia: c'era chi riusciva meglio e chi faticava di più, chi implorava e chi faceva della sfacciataggine il suo punto di forza. Quasi sempre si otteneva la restituzione dell'oggetto perduto: bastava promettere di «non farlo più». Chissà se agli americani si potrà strappare la stessa promessa.
Abbiamo scritto “cortile” perché questa faccenda dei droni americani che si fracassano in casa altrui ricorda un po' quanto accadeva durante le estati di parecchi anni fa e, forse, ancora accade oggi anche se, temiamo, con minor frequenza.
Allora, folte compagnie di ragazzini impegnate in giochi di strada si ritrovavano spesso nella stessa situazione in cui si trova attualmente il governo americano: qualcosa (un pallone, un aquilone, le scarpe di uno del gruppo e, in qualche caso, perfino la sua bicicletta) finivano oltre una recinzione. L'operazione di recupero comportava un certo imbarazzo: bisognava suonare il campanello di megere ostili (le megere non ostili erano rarissime), anziani strappati al sonnellino, ragazzini felicissimi di essere venuti in possesso di materiale letteralmente piovuto dal cielo, omaccioni urlanti in varie fogge: scamiciati, baffuti, paonazzi.
Si imparava così l'arte della diplomazia: c'era chi riusciva meglio e chi faticava di più, chi implorava e chi faceva della sfacciataggine il suo punto di forza. Quasi sempre si otteneva la restituzione dell'oggetto perduto: bastava promettere di «non farlo più». Chissà se agli americani si potrà strappare la stessa promessa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA