La Storia, in un angolino, registra un fatto curioso: la mattina del 6 febbraio 1897 lo scrittore Marcel Proust e il critico Jean Lorrain si trovarono uno di fronte all’altro nel bosco di Meudon, a sud-ovest di Parigi. Non erano lì a cercar funghi (anche perché fuori stagione): s’erano invece dati appuntamento per scambiarsi delle pistolettate.
Trattavasi, infatti, di un duello, voluto dallo scrittore per difendere il suo onore, oltraggiato dal critico che, in un articolo, aveva alluso a una presunta relazione omosessuale tra l’autore della “Recherche” e Lucien Daudet, figlio del drammaturgo Alphonse.
Nella tersa aria mattutina echeggiarono due detonazioni: la pistolettata di Proust e quella di Lorrain. Nessuna delle due colse il segno: le pallottole si persero ben lontane, tra le fronde spoglie. Non che importasse: scopo ultimo del duello, pratica a quei tempi piuttosto diffusa, non era l’uccisione o il ferimento dell’avversario, quanto l’ottenere “soddisfazione”, ovvero stabilire la propria rispettabilità mettendo in gioco a pie’ fermo, almeno in teoria, la vita.
Ci fa sorridere, oggi, questa pratica ottocentesca (che è rimasta in uso, tuttavia, anche per gran parte del Novecento), buona al massimo per qualche sequenza cinematografica (la più raffinata, quella di “Barry Lyndon”), eppure, immersi come siamo nel liquame di una stagione in cui offendere, diffamare, deridere e svergognare è pratica disponibile ad altezza di polpastrello, senza alcun rischio di conseguenze pratiche o morali, avremmo qualcosa da imparare dall’atteggiamento di chi, prima di sbeffeggiare, doveva pur considerare il rischio di sentir una pallottola fischiare all’orecchio o di ritrovarsi la pellaccia slabbrata da una lama.
Non si può certo combattere il “cyberbullismo” riportando in auge i duelli, con il loro contorno di padrini, scelta delle armi e appuntamenti all’alba: gioverà però ricordare che gli uomini non sempre sono stati i vigliacchi d’oggi e che non necessariamente sono tenuti a esserlo in futuro.
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