Non so scrivere. Per i frequentatori di questo spazio, non è una sorpresa. Vorrei tuttavia specificare: non so scrivere, intendo, neppure a mano.
Ci dev’essere un ingorgo nella conduttura nervosa che collega il cervello alla mano. Dunque, quando la mente comanda una parola alle dita, e le dita tentano di manovrare la penna e la penna lascia sulla carta la sua bava sinuosa, ecco un ignoto sobbalzo disturbare questo che dovrebbe essere un processo fluido. Non so scrivere come non saprei più camminare: ovvero, a una parola tracciata con approssimazione ne segue subito un’altra, senza una pausa opportuna, piuttosto con una progressiva precipitazione, una fretta angosciante: se il problema riguardasse l’uso delle gambe si chiamerebbe "festinazione", trattandosi di grafia, non saprei. So invece che l’affastellarsi dei segni conduce a crescente indecifrabilità, il che mi costringe a tornare, con rabbia, sul percorso già scritto per correggere gli obbrobri partoriti dalla mia stessa balbuzie neurologica. Il foglio s’impiastra così di cancellature, acquitrini d’inchiostro stesi a espungere guasti ortografici e, via via, assomiglia a una veduta aerea della Germania nel ’44, punteggiata da foschi sbuffi di fumo laddove le bombe colpiscono. Ne consegue che per scrivere mi sono indispensabili molti supporti: tastiere, elettricità, ingranaggi, lampadine, circuiti stampati. Per lasciare qualche parola su me stesso, cosa che per qualche ragione ho sempre ritenuto vitale, dipendo dunque da economia, industria, carburante e, in sintesi, da questo mondo indebitato. Sarà meglio riparta dalle asticelle.
Ci dev’essere un ingorgo nella conduttura nervosa che collega il cervello alla mano. Dunque, quando la mente comanda una parola alle dita, e le dita tentano di manovrare la penna e la penna lascia sulla carta la sua bava sinuosa, ecco un ignoto sobbalzo disturbare questo che dovrebbe essere un processo fluido. Non so scrivere come non saprei più camminare: ovvero, a una parola tracciata con approssimazione ne segue subito un’altra, senza una pausa opportuna, piuttosto con una progressiva precipitazione, una fretta angosciante: se il problema riguardasse l’uso delle gambe si chiamerebbe "festinazione", trattandosi di grafia, non saprei. So invece che l’affastellarsi dei segni conduce a crescente indecifrabilità, il che mi costringe a tornare, con rabbia, sul percorso già scritto per correggere gli obbrobri partoriti dalla mia stessa balbuzie neurologica. Il foglio s’impiastra così di cancellature, acquitrini d’inchiostro stesi a espungere guasti ortografici e, via via, assomiglia a una veduta aerea della Germania nel ’44, punteggiata da foschi sbuffi di fumo laddove le bombe colpiscono. Ne consegue che per scrivere mi sono indispensabili molti supporti: tastiere, elettricità, ingranaggi, lampadine, circuiti stampati. Per lasciare qualche parola su me stesso, cosa che per qualche ragione ho sempre ritenuto vitale, dipendo dunque da economia, industria, carburante e, in sintesi, da questo mondo indebitato. Sarà meglio riparta dalle asticelle.
© RIPRODUZIONE RISERVATA