Bisogna ammetterlo: la Rete consente di verificare e approfondire qualunque informazione. Così, dopo aver letto dell’arresto di Alfonso Manzella, detto “Zuccherino”, cantante neomelodico di Pagani (Napoli) sono andato su YouTube per capirci di più.
Missione compiuta: una semplice ricerca e sono comparse le prove che lo inchiodano. Brani come “Nu malu guaglione” e “Carcerato se more” non potrebbero che portare, in un Paese civile, a una lunga, lunghissima pena detentiva: basta ascoltare i testi, il miagolante tono della voce, l’uso artefatto e sconcio degli arrangiamenti. Non credo nell’ergastolo sparso a piene mani ma qui farei un’eccezione. Purtroppo si sa come funziona la giustizia in Italia: “Zuccherino” potrebbe tornare presto a piede libero e, quel che è peggio, a ugola spiegata.
Non capisco perché le forze dell’ordine abbiano aggiunto, a carico del Manzella, accuse quali “esplosione di colpi di arma da fuoco, detenzione e porto illegale di armi e resistenza a pubblico ufficiale”: tutta roba che bisognerà provare - se ci si riuscirà - in tribunale, quando basta l’opera sua musicale a provarne la condotta criminale.
Scherzo, ma fino a un certo punto. In primo luogo perché la canzone napoletana è cosa seria: non si capisce che cosa abbia fatto di male per finire nelle grinfie del Manzella. Svilire a tal punto una nobile tradizione dovrebbe essere reato. E poi se, come dicono, “Zuccherino” rappresenta la “voce della Camorra” anche qui siamo di fronte a un innesto deludente. E’ già capitato che il gangsterismo esprimesse forme musicali: il rap è la musica dei ghetti neri Usa e nei ghetti neri Usa comandano le gang. Ecco perché esiste un filone, diciamo, “criminale” del rap. Una musica che racconta, dall’interno, regole e durezze di quel mondo. Manzella fallisce anche in questo: la sua patina dolciastra non rivela nulla di inedito sulla malavita napoletana. Le canzoni della mala milanese, per dire, erano altra cosa. Qui il rischio è doppio: che Zuccherino sia un delinquente a sua insaputa.
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