Sono lieto di annunciare che la polenta si è fatta strada. Da umile cibo che manteneva in vita i nostri avi al prezzo di gravi sottrazioni vitaminiche, essa oggi appare nei menu internazionali e il suo nome rivaleggia con aristocratiche istituzioni alimentari quali il caviale e l'aragosta.
Cito da un menu che mi è capitato sotto gli occhi: "Braised free range chicken, sauteéd asparagus, parmesan polenta, marinated vine tomatoes". Se la prima domanda, inevitabile, è "che fine ha fatto la pasta e fagioli?", la seconda, altrettanto impellente, porta a chiedere da quando in qua la polenta è diventata "parmesan"? Comunque sia, il menu rivela tutta la progressione sociale della polenta che ora si accompagna a polli di "allevamento libero", ad asparagi "sauteéd" e a pomodori "marinati".
Altro menu, altro esempio: "Duck confit Kalamata, olive soft polenta, French beans, onion jam and balsamic jus". Il trionfo, qui, è completo: non solo troviamo la polenta accanto all'anatra, animale gastronomicamente pregiato, ma la vediamo associarsi con una misteriosa Kalamata (probabilmente una bruna spia orientale), farsi insaporire da olive mediterranee, frequentare marmellate di cipolle e, come se non bastasse, intrattenere cordiali rapporti con fagioli francesi, i quali, per quanto fagioli, sono pur sempre francesi.
Naturalmente, come accade a tutti quelli che si fanno (troppa) strada, la polenta di oggi poco ricorda quella di ieri. Si presenta in forma di parallelepipedo compatto, quasi levigato, per nulla simile alle approssimative mestolate con cui veniva servita nei tempi andati. Una volta ordinata, ho provato a ricordarle le sue origini: "Non ti ricordi che mangiate in baita?" Mi ha guardato con lo sguardo freddo di un buffet di "cruditées" e si è allontanata, la misteriosa Kalamata cinta al suo braccio.
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