Nuove discipline

Nuove discipline

Se avrete l’accortezza di chiudere un occhio, o anche due, sul tremendo logo ufficiale scelto dagli organizzatori (la teoria più accreditata vuole che il modello del logo fosse bellissimo fino a quando Fifì, il gatto del disegnatore, non ebbe a graffiarlo tutto e l’artista, dapprima affranto, finì per stringere le spalle e borbottare: «Tanto è lo stesso»), logo a parte, dicevamo, oggi avrete tutti un motivo in più per rallegrarvi: le Olimpiadi di Londra.

Molto si può dire - e criticare - sul velo di retorica e di ipocrisia che avvolge i Giochi, ma neppure le scorze più dure possono evitare di avvertire un fremito di fronte al messaggio di fratellanza che, attraverso la gigantesca manifestazione, lo sport cerca di convogliare all’umanità. Certo, questo appello alla comunione universale vacilla un tantino alla prospettiva di un pomeriggio passato a guardare il taekwondo ma, tutto sommato, non si può che riconoscere la bontà e l’utilità dello spirito insito in questa manifestazione, davvero unica e popolare.

A voler essere pignoli si potrebbe suggerire qualche piccola innovazione nelle discipline riconosciute dal Comitato olimpico internazionale. Beninteso, si tratterebbe di aggiornamenti intesi ad avvicinare i Giochi stessi alla gente, a rendere l’uomo della strada più partecipe degli sforzi profusi dagli atleti. Esempio: perché non dotare i concorrenti di una pensione minima, ripassare quattro settimane dopo, e premiare con la medaglia d’oro chi è riuscito a sopravvivere? Oppure: perché non promuovere una competizione di attesa agli sportelli? All’Asl come all’Agenzia delle Entrate, una maratona che premi la resistenza di chi, più a lungo, è disposto ad aspettare il suo turno. Nuove discipline che avrebbero un doppio beneficio: portare più realtà nello spirito olimpico e più spirito olimpico nella realtà.

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