So che a voi non interessa, ma volendo mettere nero su bianco qualche considerazione giusto per me stesso o per un malcapitato Postero, vorrei (ri)spiegare che cosa succede quando ci si impegna a scrivere, ogni giorno, una rubrica come questa.
Il tema, meglio precisarlo, non è la rubrica ma la scrittura, ovvero l’impiego di questo antichissimo e nobile mezzo di espressione per raccontare ciò che si vede, si sogna, si immagina, si spera o si dispera. Un tema, credo , interessante: la parola scritta non è stata messa ai margini dalla Rete. Al contrario, l’offerta è di molto aumentata. E la quantità pone sempre il problema della qualità.
Purtroppo, basandomi solo sulla mia esperienza l’argomento è presto esaurito: tutto ciò che so sullo scrivere è che, scrivendo, ne capisco sempre meno. Afferrato un concetto, un trucco del mestiere, un’ispirazione, una regola e, soprattutto, raggiunta quella stabile frequenza mentale necessaria a trasmettere, in parole e frasi, il pensiero, capita un fatto strano: invece avvicinarmi alla padronanza della scrittura, scopro di essere più lontano di prima. L’aumentata conoscenza della scrittura, mi rivela nuovi deserti di ignoranza sui quali spira il vento di domande piene soltanto di eco.
Insomma, più scrivo meno scrivo come vorrei. Anzi: più mi è chiaro come vorrei scrivere, meno ci riesco. L’unico risvolto positivo del frustrante inseguimento è che diventa palese anche come non vorrei scrivere, e per fortuna, questo obiettivo è alla portata anche di forze modeste come le mie.
La soluzione più sicura - e drastica - sarebbe quella di non scrivere del tutto. L’altra - accomodante ma comunque utile - sta nel coltivare questa crescente sensibilità per lo sciatto e l’arrogante, il pretenzioso e il dilettantesco.
Checov, esperto in materia, diceva che «è spregiudicato solo colui che non ha paura di scrivere sciocchezze». Io scrivo sciocchezze comunque, ma la paura che ho, ve lo assicuro, è tale da illuminare a giorno tanti spregiudicati.
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