Le minacce dell’Isis, i video truculenti e i deliri dei barbuti creano paura e tensione, sollevano interrogativi, chiamano la politica a scelte difficili e, come effetto collaterale, hanno anche ottenuto di resuscitare una figura giornalistico-letteraria di cui si erano perse le tracce: quella dell’interventista.
Certo, abbiamo avuto giornalisti, commentatori, intellettuali e predicatori schierati a favore degli interventi militari in Iraq, Afghanistan ed ex Jugoslavia, ma nei più recenti appelli alle armi sulla questione libica si coglie, sarà forse per gli echi coloniali evocati dal nome della nazione nordafricana, un ardore d’altri tempi.
Tempi, peraltro, tutt’altro che radiosi. Gli interventisti del XX Secolo contribuirono a ficcarci in due guerre orribili, pagate a carissimo prezzo, una delle quali consegnata ai libri di Storia come vittoriosa, se cinquecentomila vittime civili e seicentomila militari possono configurare una vittoria. Ma è facile fare i pacifisti in retrospettiva: quando invece della Storia si ha a che fare con la cronaca, ovvero con l’ignoto raccontato minuto per minuto, la faccenda è diversa e gli spiriti si ritrovano sballottati dai venti più feroci. I Paesi si scoprono esposti all’emotività, diventano terreno di cinici calcoli politici ed economici, vengono presi in ostaggio da vigorosi megalomani e e si buttano nella mischia sulla base di confuse strategie.
Ci risiamo, ancora oggi. Tutto ciò che sappiamo è che c’è un pericolo. Molti di noi non hanno idea di come affrontarlo ma qualcuno si dichiara favorevole all’azione: subito, senza esitazioni, compromessi, timidezze. Tra questi e gli interventisti d’un tempo mi sembra ci sia una sola differenza: la disponibilità a partecipare di persona allo sforzo bellico. Nel passato, i giornalisti e gli scrittori favorevoli alla guerra correvano ad arruolarsi, fosse per genuina convinzione, fosse per il timore di passare per codardi o per cialtroni. Oggi questa disponibilità sembra mancare. Sarà certo per distrazione. O forse perché non c’è pericolo, per costoro, di “passare” per cialtroni: già sappiamo che lo sono.
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