Oggi sappiamo

L’altra sera un pensiero è spuntato nella mia testa. Eccolo: «È confortante sapere che quando ci capita qualcosa - un piccolo imprevisto o un problema vero, drammatico - è sempre possibile condividerlo su Facebook o su un altro social network».

Il pensiero non ha fatto in tempo a “spegnersi” nella cavità del mio cranio che subito un altro l’ha sostituto: «Ma era proprio mia, quella “voce” lì? Sono davvero io il tale che ha appena elevato un così benevolo apprezzamento per quei luoghi virtuali pieni di nulla, ovvero per il bailamme ben ordinato nel quale ognuno sovrappone la sua fetta di egoismo a quella depositata dall’altro?»

Ho dovuto riconoscere che sì, ero proprio io. Sotto lo scetticismo, l’ironia, il sussiego del commentatore ormai fallito, mi sono ritrovato ad ammettere, in un lampo d’onestà giunto a sorpresa, che, forse sottovalutandone gli effetti collaterali, di sicuro contribuendo a uno stato di alienazione sociale, anch’io trovo nei social un grado di conforto e constato come molti, moltissimi, facciano altrettanto.


La coda in autostrada, il treno in ritardo, l’appuntamento dal dentista e anche un semplice, astratto, momento di rabbia espresso con un’imprecazione e una selva di punti esclamativi: tutto si può condividere nella certezza che questo aiuti a sostenere il peso dello sconforto distribuendolo su più punti d’appoggio, sia pure virtuali, a raccogliere quelle manine col pollice alzato che agiscono da antidepressivi meglio del Prozac e anche a “contare”, con larga approssimazione, quanti amici sembrano disposti a correre in nostro soccorso anche se, sotto sotto, ben sappiamo che tale solidarietà non costa loro più dello sforzo di un “clic” .

L’analisi dei mali di Facebook teniamola buona per puntellare la nostra immagine di pensatori originali e controcorrente. Rinviamola pure a domani, dunque: oggi, quando c’è bisogno di un “mi piace”, sappiamo dove trovarlo.

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