Siamo tutti abituati, credo, agli inciampi, anche grossolani, della politica. Non sentivamo però il bisogno che un politico, Roberto Calderoli della Lega Nord, intervenisse nel dibattito per offendere gratuitamente gli orango dando loro del “ministro”.
L’offesa, sia chiaro, non sta nel paragonare gli orango a uno specifico ministro: l’insulto è insito nell’accostare il nobile primate a una categoria alquanto screditata come quella, appunto, dei ministri italiani.
Pensiamoci: come potrebbero gli oranghi non offendersi? Ministri sono stati, negli anni, personaggi di tutti i tipi, molti dei quali ci allarmerebbero se li vedessimo passare nottetempo accanto alle nostre proprietà private; ad altri invece non ci sogneremmo di affidare la più piccola responsabilità.
In tempi recenti hanno frequentato Palazzo Chigi Claudio Scajola, Paolo Ferrero, Cesare Previti, Clemente Mastella, Daniela Santanché, Laura Ravetto, Calogero Mannino, Ignazio La Russa, Enzo Bianco. Lo stesso Roberto Calderoli è stato ministro.
Insomma, dopo il “pasticcio kazako” adesso abbiamo la “frittata orango”. Non sarà facile venirne a capo: la diplomazia italiana dovrà lavorare a lungo per ricucire i rapporti. Il timore è che i nostri diplomatici possano peggiorare la situazione: a volte si comportano in un modo tale da evocare la metafora dell’elefante nella cristalleria, se non fosse che paragonare gli elefanti a esponenti governativi è, ancora una volta, offensivo.
Come gesto di distensione, potremmo offrire agli orango un posto nel governo Letta: avendo di meglio da fare, probabilmente rifiuterebbero. In caso contrario, godremmo di un prezioso e inedito contributo all’attività dell’esecutivo. Per quante perplessità possiamo avere su un orango a Palazzo Chigi, non si vede come possa fare più danni di chi lo ha preceduto. Di certo, non potrebbe studiare una legge elettorale peggiore di quella che abbiamo.
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