Operazione Speriamo Bene

Operazione Speriamo Bene

Non intendo certo permettermi di fare dell’ironia sulla guerra, ma su quanto la circonda, specie nel settore della comunicazione, francamente ritengo di avere mano libera. E poi ironia non è la parola giusta perché, in realtà, vorrei soltanto accennare alla possibilità di applicare alla vita quotidiana certi accorgimenti mutuati dai comandi militari. I quali, non si sa quando e non si sa come, sul ciglio di un bombardamento trovano sempre il tempo di battezzare quanto sta per accadere. Una tradizione che ha radici lontane, recentemente rinverdita da operazioni dai nomi evocativi come «Desert Storm», «Iraqi Freedom», «Restore Hope» ed «Enduring Freedom». In Libia assistiamo nientemeno che a «Odissey Dawn», ovvero «Alba dell’Odissea». Trovo che questi nomi infondano un che di "vigoroso" in operazioni altrimenti soltanto brutali. Per questa ragione, penso che il concetto potrebbe essere trasferito con successo alle varie fasi della giornata-standard di ognuno di noi, definendole e insieme galvanizzandole.
La mia sveglia, per esempio, potrebbe essere senz’altro chiamata «Rising of the Dead», «Levata dei Morti», mentre l’appena successiva ingestione del caffè ricadrebbe alla perfezione sotto il nome in codice di «Colombian Boost» («Spinta Colombiana»). Una bella spazzolata ai denti («Reborn Jaw», «Mandibola Rinata») e sarei pronto per l’uscita di casa («Wife’s Relief», «Sollievo della Moglie»). Funziona, sapete? Mi sento già più combattivo e pronto a ogni sfida, ovvero all’«Operation Let’s Hope for the Best» («Operazione Speriamo Bene»).

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