Orrore permanente

Aprirà domani a New York il museo dedicato alla memoria degli attentati dell’11 settembre 2001. Le immagini mostrate in anteprima rivelano un allestimento solenne ed emozionante. C’è la croce d’acciaio ritorto estratta dalle macerie e mille altri reperti di quella spaventosa giornata: uno dei motori che muovevano gli ascensori delle Torri Gemelle, una scaletta di cemento percorsa dai sopravvissuti, un’autopompa dei vigili del fuoco schiacciata dal crollo e mille altri oggetti, frammenti, detriti che, passati attraverso quell’inferno, istantaneamente si sono trasformati in simboli di un passato che, giustamente, non si vuole dimenticare. C’è tutto, nel museo del “9/11”, come, in una sintesi-slogan, gli americani chiamano quella giornata. Ci sono i brandelli delle Torri abbattute, le fotografie scattate in quegli istanti tragici, le voci registrate delle vittime e il cencio di una bandiera strappata alle rovine. E c’è anche il negozio di souvenir.

Qui finisce la memoria e incomincia la polemica. Non tutti, a New York e nel mondo, hanno apprezzato il fatto che si sfrutti il luogo dove morirono migliaia di persone per vendere magliette e cappellini. In particolare, non l’hanno presa bene i parenti delle vittime: «Questa è la più volgare, insensibile cosa che poteva essere fatta: un’impresa commerciale nel posto dove è morto mio figlio» ha tuonato Diane Horning che nell’attentato perse Matthew, di 26 anni.

La voce di Diane, come quella di altre persone offese, è risuonata nei media ma non fermerà per un secondo la valanga di souvenir destinata a uscire dal museo.

Un sommario elenco parla di cappellini, magliette, portachiavi, tazze, tappetini per mouse, animali impagliati, custodie per cellulari, orecchini e perfino vestitini per cani. Questo elenco ripugna alla coscienza e al gusto ma, forse, tanto spiegamento di insensibilità ha una ragione: se si voleva ricordare l’orrore rendendolo permanente, allora la missione è compiuta.

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