Se doveste predisporvi a seguire la cerimonia degli Oscar, questa sera, con occhio interessato e magari perfino affascinato, forse è giusto consideriate il fatto che siete arrivati in ritardo. Non è colpa vostra, si intende, ma dei tempi che, come è noto, corrono e raramente permettono che noi si rimanga al passo.
Ecco perché, con tutto lo sforzo di lustrini, interviste, tappeto rosso e vestiti d’alta moda, gli Oscar non possono che celebrare il vuoto: il cinema, infatti, non c’è più. Sarà meglio precisare: il cinema come arte di raccontare una storia per immagini esiste e immagino esisterà per molto tempo ancora. Il cinema come fenomeno di costume, come segmento d’avanguardia della cultura popolare, della moda, come fabbrica del divismo e fucina del sogno occidentale, invece, è scomparso da tempo e i “divi” di oggi non sono più divi, così come le auto di lusso di oggi non sono più i modelli d’artigianato artistico che erano un tempo.
Se “quel” cinema è scomparso la sua memoria è però facile da ritrovare. Non solo nei film, ma anche nelle parole di chi li ha girati. Per riassaporare quel gusto, e molto altro ancora, uno degli accorgimenti più efficaci è collegarsi a YouTube e cercare un’intervista, una qualunque, al regista John Landis (Blues Brothers, Animal House, Una Poltrona per Due, I Tre Amigos ).
Dotato di un amore sincero per il cinema, da appassionato maratoneta della platea, e di una straordinaria capacità di sciorinare aneddoti, Landis meglio di chiunque altro è in grado di farci intravedere l’essenza precaria di un meccanismo fatto di errori, ambizioni, miseria, assurdità, talento, tenacia, inganno, noia e casualità. Tante di quelle immagini che vediamo fissate sullo schermo e la cui esistenza sembra oggi così necessaria e importante nascono, rivela Landis, da occasioni strappate al caos, oppure dal caos stesso. Purtroppo, oggi sempre meno persone sembrano disposte a cavalcare il caso. Preferiscono stare sedute in platea a vedere gli Oscar del nulla.
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