Ossequi alla signora

La bellezza della lingua è simile a quella della natura: il segreto di entrambe sta nella mutevolezza. Per essere più precisi, il segreto sta in una mutevolezza compresa in un quadro di staticità.

Mi spiego. Leggendo Dante, riconosciamo all’istante che egli si esprime (eccome!) nella nostra lingua ma non potranno sfuggirci le profonde differenze tra l’italiano del 1300 e quello di oggi. Nessuno va più in giro dicendo “indarno”, “trasumanar” e “permotore”. In cambio - si fa per dire - c’è chi dice “aiutino”, “loggare” e “alfaniano”.

La lingua, insomma, cambia eppur resta la stessa, come in uno di quei misteri metafisici che lo stesso Dante cercava di chiarire nel Paradiso con gran spiegamento di endecasillabi. A sparire come onde vecchie sotto onde nuove non sono soltanto singole parole: a volte se ne vanno tronconi di linguaggio, interi sistemi di espressione.

Per esempio, ho notato che si sta rapidamente sgretolando l’impianto di quello che, un tempo, era conosciuto come italiano di cortesia o italiano servile. Un po’ a causa dei tempi drammatici, un po’ per colpa di un progressivo ridursi del vocabolario comune, le espressioni di buona educazione - cosiddetti “convenevoli” - si sono ridotte a una manciata: “grazie”, “prego”, “stia bene” e poco altro.

Giusto a fini culturali e conservativi sarebbe allora il caso di provvedere alla stesura di un “Dizionario dell’italiano servile”. Altrimenti, andranno perdute locuzioni strepitose e di portentoso impatto umoristico. Ricordate? “Dopo di lei”, “Ma le pare” (pare cosa a chi?), “Ci mancherebbe” (mancherebbe cosa a chi?), “Si figuri”, “E allora sì!” (con il tono di chi allude a un’alternativa prossima alla fine del mondo), “Tante belle cose”, “Il piacere è tutto mio”, “Non se ne parla neanche!” (in tono scherzosamente autorevole), “Non mi permetterei”, “Che bella cera!”, “Il signore si che se ne intende”, “Non faccia complimenti”, “Disturbo?”, “I miei rispetti” e, da sempre sovrano, “Ossequi alla signora”.

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