Otto

Strano a dirsi, ho vissuto un’infanzia tra i nostalgici dell’Impero austro-ungarico. Non sono l’unico: venir grande al Nord ha comportato, per certe generazioni, l’incontro con persone che ti magnificavano, un poco a spanne, la grandezza degli Asburgo. Erano avanguardie leghiste, ma non lo sapevano. Più semplicemente, si affidavano al qualunquismo: vedevano nel Sud il Problema con la "P" maiuscola e, nello slancio di cercare un’orgogliosa soluzione, guardavano al Nord e alla Storia, captata, non proprio appresa, a scuola.
«Si stava bene ai tempi del Cecco Beppe», dicevano. Oppure: «Pensa che la Maria Teresa ci ha dato il Catasto». Mi stupiva lo dicessero come fosse stata un’impresa mirabile perché, in altre circostanze, quando dovevano far la fila a uno sportello o pagare un bollo, lo stesso Catasto diventava per loro il simbolo di tutta la sonnolenta, incapace, molesta burocrazia italiana.
Ieri, è morto l’ultimo erede legittimo dell’Impero austro-ungarico: Otto (poteva forse avere un nome diverso?) von Habsburg se ne è andato alla bella età di 98 anni. Senza poter salire al trono che era stato dei suoi avi, si era comunque dato da fare per imporre ai popoli d’Europa un’unica sovranità: convinto "europeista", per due volte era stato eletto al Parlamento di Strasburgo. La sua scomparsa è l’evento che chiude un importante capitolo storico e manda in pensione gli ultimi sostenitori del «Cecco Beppe». Anche se ai nostalgici di qualunque regime le sentenze della Storia non sono mai bastate per rinunciare a vivere nel passato.

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