Ovvio, come è ovvio, che non abbia nulla di originale da suggerire sulla guerra tra israeliani e palestinesi, a parte sottolineare il naturale sconforto di chi, in cinque decenni, è cresciuto assistendo, a volte con interesse e a volte, purtroppo, con rassegnazione, alle tragiche conseguenze di questo irrisolto nodo internazionale, l’unico contributo che mi sento di portare è quello che si può trovare nei libri. In particolare, nel libro “La via per l’Oxiana” dell’inglese Robert Byron, composto nel 1933.
Viaggiatore e narratore amatissimo da Bruce Chatwin, di cui rappresenta una sorta di padre letterario, Byron raccoglie in questo volume una serie di note circa un viaggio in Oriente. Tra le altre, quelle sulla Palestina, che al momento del suo viaggio, e fino al 1948, è Mandatorio britannico.
Di una cena a Gerusalemme, Byron annota: «Si è parlato di Arslosorov, il leader ebreo ucciso sulla spiaggia di Jaffa, mentre passeggiava con la moglie. Si presume che i sicari appartenessero al movimento dei Revisionisti ebrei, un partito estremista che si prefigge di cacciare gli inglesi e di costituire uno stato ebraico. Vorrei sapere per quanto tempo s’immaginano che gli arabi sopporterebbero l’esistenza di un solo ebreo, una volta partiti gli inglesi».
Più avanti è a Tel Aviv («vivacissimo insediamento di settantamila persone»), al desco di «uno dei rappresentanti più in vista dell’agenzia ebraica». Byron lo invita a «considerare il punto di vista arabo». L’altro rifiuta «sprezzantemente». Scrive Byron: «Gli ho chiesto se non fosse vantaggioso per gli ebrei conciliarsi con gli arabi, anche a costo di qualche sacrificio, per assicurarsi la pace in avvenire. Mi ha risposto di no. L’unica base possibile di un’intesa arabo-ebraica stava nella comune opposizione agli inglesi, che dal canto loro in capi ebraici non volevano incoraggiare: “Se il paese deve essere modernizzato, gli arabi devono soffrire, perché non amano la modernizzazione. Punto e basta”».
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