Palla!

Palla!

Ieri, dopo chissà quanti anni, ho avuto la soddisfazione di sentire (e vedere) un ragazzino gridare «Palla!» Mettiamo subito in chiaro: non vado guardando ragazzini, per nessuna ragione, tantomeno per le più inconfessabili. Semplicemente, passavo per strada e, in un giardino di pochi passi quadrati, quattro ragazzini giocavano a calcio, due contro due: proprio durante il mio transitare, uno di essi ha esclamato, appunto, «Palla!»
Non posso dire che la cosa abbia sgombrato ogni nuvola dal mio personale orizzonte, ma certo non ha peggiorato l’assetto generale della giornata, anzi. Come ho detto, era un pezzo che non sentivo gridare «Palla!» mentre un tempo, da ragazzo, lo sentivo gridare e lo gridavo spesso: questo ha innescato un inaspettato sobbalzo della memoria, evento che, quasi sempre, porta con sé un retrogusto piacevole. Inoltre - e direi soprattutto - la circostanza mi ha divertito perché il ragazzo, pur gridando «Palla!», non aveva alcuna ragione di gridare «Palla!» Si grida «Palla!» per invitare un compagno a passare la medesima qualora s’intraveda, anche in vaghezza, la possibilità di far gol. Ora, il ragazzo in questione non aveva alcuna possibilità di far gol: la palla tanto reclamata l’aveva appena persa nel confronto con un avversario; egli era a terra, solo, mentre il gioco si spostava altrove. Eppure gridava «Palla!» come se avesse spalancata la porta del Mundial e, in generale, irradiava la certezza che, più presto che tardi, un’occasione gli si sarebbe offerta. Il che, certo per induzione, lo ha fatto credere anche a me.

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