Parodia armata

Forse ha ragione Salvini: con tutti i dirigenti della Lega, si è indignato dicendo che lo Stato dovrebbe preoccuparsi di perseguire i «delinquenti veri» e non i «pacifici indipendentisti». Forse invece ha ragione lo Stato che si preoccupa per l’aspetto illegale, potenzialmente violento, delle spinte secessioniste. Sinceramente: non so dirlo. Il mio giudizio è abbacinato da un’enormità che mi impedisce di vederci chiaro. L’enormità di cui sopra è quella che spinge qualcuno a fabbricarsi un carro armato in casa e che, per soprammercato, spinge i media a occuparsene come fosse una faccenda seria.

Non voglio deridere chi pensa che lo Stato, inteso come nazione dai «sacri confini», sia un concetto giunto, filosoficamente parlando, al capolinea: penso ci sia del vero e che ragioni non solo economiche, ma anche culturali, finiranno per imporne il superamento. C’è chi pensa che questo possa avvenire tramite l’indipendenza delle regioni, attraverso un mobile localismo, e io rispetto questa idea anche se, a dirla tutta, fatico a conciliarla con la evidente, impetuosa tendenza che sta facendo del mondo un luogo sempre più piccolo, dove la convivenza è indispensabile.

Ciò che non capisco e trovo francamente difficile da prendere sul serio, è l’idea di costruirsi un carro armato nel cortile dietro casa. Esattamente a quale scopo - strategico, politico e militare - dovrebbe rispondere un simile manufatto? Perché fare torto alla propria idea - giusta o sbagliata che sia - mettendola in ridicolo con un’iniziativa balzana? I fautori dell’indipendentismo sudano sette camicie per convincerci dell’insofferenza che sobbolle tra le popolazioni nordiche, citano dati e statistiche per denunciare i cronici difetti del centralismo, ed ecco che dal cuore dello scontento arriva l’inciampo più clamoroso: i secessionisti veneti trasformano una falciatrice in carro armato, un aspirapolvere in bazooka, un motorino in F35 e, cosa che fa meno ridere, un’aspirazione in parodia.

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