Non so come, nel tempo, nell’abitudine e nella necessità, le varie lingue selezionino le parole. So che, come risultato, alcuni idiomi scelgono di formare - "sublimare", si direbbe - certe parole per descrivere sentimenti che, in altre lingue, restano anonimi. La saggista Pamela Haag ne ha raccolte alcune, di queste parole, e tutte riguardano l’area di suo interesse: le relazioni interpersonali.
Il risultato è curioso e vario. «Mamihlapinatapei», per esempio, è un’espressione in "yagan", una lingua indigena della Terra del Fuoco, che significa «sguardo senza parole e tuttavia significativo tra due persone che desiderano dare inizio a qualcosa, ma entrambe esitano a incominciare». In bantu, la parola «ilunga» designa «qualcuno disposto a perdonare un’ingiustizia la prima volta che viene commessa, a sopportarla una seconda, ma mai e poi mai una terza». Annota la Haag: «A quanto pare, questa parola nel 2004 ha vinto il premio della parola più difficile da tradurre». Non ne dubitiamo, anche se il premio andrebbe diviso con la parola necessaria a descrivere lo stato psicologico generale di chi inventa un premio per parole difficili da tradurre.
Resta il rammarico di constatare che, nella raccolta di Pamela, l’italiano non porta alcun contributo. Ma forse si può ancora rimediare. Che ne dite di «equità»? Sarebbe «quella vaga ma persistente sensazione che, a partire da lunedì, qualcuno e solo qualcuno, ma comunque senz’altro anche noi, si beccherà una tremenda tranvata sulla testa».
Il risultato è curioso e vario. «Mamihlapinatapei», per esempio, è un’espressione in "yagan", una lingua indigena della Terra del Fuoco, che significa «sguardo senza parole e tuttavia significativo tra due persone che desiderano dare inizio a qualcosa, ma entrambe esitano a incominciare». In bantu, la parola «ilunga» designa «qualcuno disposto a perdonare un’ingiustizia la prima volta che viene commessa, a sopportarla una seconda, ma mai e poi mai una terza». Annota la Haag: «A quanto pare, questa parola nel 2004 ha vinto il premio della parola più difficile da tradurre». Non ne dubitiamo, anche se il premio andrebbe diviso con la parola necessaria a descrivere lo stato psicologico generale di chi inventa un premio per parole difficili da tradurre.
Resta il rammarico di constatare che, nella raccolta di Pamela, l’italiano non porta alcun contributo. Ma forse si può ancora rimediare. Che ne dite di «equità»? Sarebbe «quella vaga ma persistente sensazione che, a partire da lunedì, qualcuno e solo qualcuno, ma comunque senz’altro anche noi, si beccherà una tremenda tranvata sulla testa».
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