L’affastellarsi di notizie sulle quali i media hanno insistito tanto - una su tutte: la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - ha nascosto e rallentato l’insorgere dell’inevitabile: l’arrivo della campagna elettorale per le elezioni europee. O, meglio: la campagna elettorale è già iniziata e molti dei suoi protagonisti stanno già parlando e straparlando da tempo ma noi tutti, giustamente, abbiamo diretto la nostra attenzione ad avvenimenti che ci sono sembrati più importanti. Purtroppo questa capacità di discernimento, di scelta tra ciò che è importante e ciò che non lo è, non durerà a lungo: senza l’indirizzo dei media e nel momento in cui i medesimi decideranno che la campagna elettorale, dal loro punto di vista, è la “cosa importante”, essa lo diventerà anche per noi quando, se solo riuscissimo a imporci un poco di indipendenza di pensiero, potremmo ben vedere come anche un buco nel muro è più importante della propaganda di partiti e movimenti.
Personalmente, ho un ricordo delle campagne elettorali molto felice. Questo perché, appunto, trattasi di ricordo. Da bambino, durante le ricorrenze elettorali, io e amici coetanei facevamo collezione di volantini, “santini” e fac-simile di schede: paccottiglia che, con abbondanza, veniva lasciata nelle cassette della posta. Era una sorta di replica del “ce l’ho-manca” delle figurine calcistiche. Il bello - e oggi impensabile - è che per noi quei simboli (gli scudi, le falci e martello, le fiamme, i tricolori e i soli dell’avvenire) non avevano altro senso se non quello di essere indispensabili a completare la collezione. Poco più tardi, doveva arrivare la consapevolezza della spinte ideali, ma anche della malafede, che si nascondeva dietro quei simboli. Ecco, l’unica campagna elettorale che ammetterei sarebbe quella, ingenua e semanticamente vergine, dell’infanzia. Tutto il resto - comizi, bandiere, promesse, sbruffonate e polemiche - mi sembra il rottame di un passato al quale qualcuno, molto interessato, non vuole rinunciare.
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