Paura e paura

La paura sembra proprio essere il grande business del Ventunesimo secolo. Per carità, non è certo merce nuova: da sempre è stata usata per indurre in molti comportamenti nell’interesse di pochi. Oggi, però, lo sfruttamento della paura sembra essersi perfezionato all’estremo, al punto da aver raggiunto una raffinatezza quasi ammirevole.

Un tempo non si andava per il sottile: colui che non si adeguava veniva minacciato di punizioni terrene o trascendentali e questi, terrorizzato, rientrava nei ranghi. Oggi della paura si fa un uso più subdolo: viene presentata come un’infiltrazione, una muffa, un inconveniente che può essere evitato comprando l’antidoto “giusto”.

In politica, l’antidoto è il voto: «Votate per noi» dice il partito A, «altrimenti succederà questo e questo, ovvero vi troverete la casa (il Paese) infestato». «Ma neanche per sogno» replica il partito B: «È proprio votando il partito A che la vostra (nostra) casa andrà a rotoli e diventerà un lager. Votate per noi, invece». Risultato: abbiamo paura dell’infestazione ventilata, del lager, ma anche dei partiti A e B; non sappiamo più chi è antidoto di cosa e non distinguiamo il problema dalla soluzione.

Un bel guaio, perché recenti studi hanno evidenziato che cosa fa la paura al nostro cervello e non è un bello spettacolo. Sfruttando i meccanismi della memoria a lungo termine inserisce - incide, si potrebbe dire - associazioni sgradevoli nella mente. Tarli che rimangono lì per sempre, pronti a svegliarsi allo stimolo più inaspettato e indiretto, per continuare con ostinazione l’opera di svuotamento della nostra volontà.

«Dobbiamo aver paura solo della paura stessa» diceva qualcuno. Un problema perché, da un punto di vista evolutivo, la paura è uno strumento indispensabile per cavarsela nella vita schivando i pericoli. Dobbiamo dunque aver paura della paura artificiale. Si può fare, credo: basta imparare a riconoscerla alla vista e, soprattutto, all’udito.

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