Ho voluto aspettare qualche giorno prima di dare l'annuncio, ma ora credo di poter arrischiarmi: anche quest'anno non sono tra i vincitori della Lotteria Italia. Ho fatto scorrere l'elenco dei biglietti e non ho trovato riscontri. Uno scrupolo, devo confessare, perché ritengo che non aver acquistato neppure un biglietto già mi mettesse al riparo dal rischio.
Uso la parola “rischio”, ovviamente, in senso ironico: una vincita alla lotteria è semmai una fortuna. Tanto fortuna che un sacco di gente si è messa a cercarla attivamente: il numero dei biglietti venduti è cresciuto del 4,5 per cento; più di 8 milioni rispetto ai 7,6 dello scorso anno.
Prima di addentrarsi in un'analisi sociologica del dato, bisogna dire che 8 milioni sono un nonnulla se messi a paragone con le vendite degli anni d'oro della Lotteria Italia. Il record assoluto risale al 1988, quando furono piazzati 37,4 milioni di tagliandi e il primo premio – tre miliardi di lire – fu aggiudicato nel corso di un “Fantastico” condotto da Enrico Montesano. Se il dato assoluto polverizza quello recente, non va dimenticato che, ai tempi, le lotterie erano ben poche, lotto ed enalotto non erano ancora Superenalotto, e per fare 13 alla schedina del Totocalcio occorreva, oltre a un fondoschiena imbottito, anche un minimo di conoscenza dell'attualità sportiva. Oggi le occasioni di azzardo si sono moltiplicate e dunque la Lotteria Italia deve condividere con mille altre bische e riffe il denaro degli scommettitori.
Ciò premesso, possiamo ben affermare che l'aumento di cui sopra non è un buon segno. Perfino in un mercato saturo di truffe d'azzardo - perché di questo si tratta – il volume di spesa aumenta. Nessuno sembra rendersi conto che all'aumento delle scommesse non corrisponde un proporzionale incremento delle vincite e dei vincitori. I biscazzieri – di Stato e no – sfruttano a piene mani il sogno di molti di uscire da tutti i problemi con un colpo fortunato e, in cambio, non danno niente. Anzi no, peggio di niente: danno una trasmissione con Insinna.
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