Nonostante abbia trascorso l’ultima settimana a girare per le strade tenendomi il più possibile in piena luce, rivolgendo grandi sorrisi a tutti e cercando di far conversazione con chiunque, nessuno - e dico nessuno - mi ha chiesto che cosa ne penso della sentenza Berlusconi e del conseguente impasse politico che, cronache di queste ore, potrebbe portare il governo Letta alla resa.
Comprendo perfettamente la timidezza dei più - anch’io ne sono, nel contempo, vittima e beneficiario - e, risparmiandovi l’imbarazzo di porre la domanda, provvederò qui a fornire la risposta.
In tutta la faccenda, trovo immenso divertimento nel sentir elencare le possibili “vie d’uscita” che leggi e meccanismi istituzionali potrebbero offrire al leader del Pdl. Tra quelle elencate nel giornali - grazia, amnistia, indulto, commutazione della pena - trovo entusiasmante l’ipotesi del “salvacondotto”. È la parola stessa a piacermi immensamente: solo a pronunciarla ci si ritrova immersi in un romanzo di cappa e spada o in un racconto storico.
Immagino Berlusconi attraversare la selva in una notte di tempesta: agli armigeri che lo fermano e lo minacciano al petto con la punta delle lance, egli produce un salvacondotto con tanto di sigillo imperiale in virtù del quale può riprendere il cammino. Io, dunque, sarei per il salvacondotto, purché Berlusconi sia disponibile a inoltrarsi a tarda ora in una selva. Non si può fare altrimenti, ne va dell’effetto drammatico.
Forse non apprezzerete il tono scherzoso, ma questa è l’unica occasione che ho per sorridere di tutto il pasticcio. Quello che accadrà prossimamente non potrà essere altrettanto dilettevole. Non sarà divertente assistere al duello tra chi vuole mettere se stesso, a ogni costo, sopra la legge e chi, per convinzione o calcolo, risponderà riferendo alla legge, sempre e comunque, ogni umana cosa. Poiché da questo pericoloso incantesimo non usciremo facilmente, mi sembra legittimo concludere che, al momento, gli unici condannati in via definitiva siamo proprio noi.
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