Un bel sabato sera, non vi pare? A Londra hanno avuto un attentato vero (anzi, peggio di un attentato: terrore puro iniettato nelle vene della metropoli) che ha fatto sette morti. A Torino l’attentato ce lo siamo fatti da soli, innescando una molotov di stupidità, disordine e nervi tesi. Risultato: un bimbo gravemente ferito.
L’episodio di Torino la dice lunga sullo stato emotivo della collettività: camminiamo tutto il giorno sulle uova del sospetto e quando, con il pretesto di una partita di calcio, ci lasciamo andare, basta un rumore per riportarci nell’incubo. Anzi, per crearne uno completo di sangue e dolore.
Siccome l’alta frequenza degli eventi criminali e il povero stato del nostro sistema nervoso sono dati ormai certi, la domanda che si impone ogni minuto di più è chiara: che cosa fare?
Chiarissima la domanda, confusissima la risposta. Potremmo correre a votare per chi vuol mollare fendenti a destra e manca, espellere gente e tirar su muri all’impazzata. Come strategia, probabile quanto la trama di “Godzilla”. Oppure possiamo sfogarci a mettere su Facebook le bandiere dei Paesi colpiti: solo quelli facili da trovare sull’atlante, però, per gli altri - sorry - non abbiamo tempo.
Deluso da queste alternative, ho provato a pensarci su e mi è venuto in mente che qualcosa si potrebbe fare. Chi amministra le città, per esempio, dovrebbe lavorare di urbanistica per evitare che si formino quartieri così dimenticati da diventare colture dell’odio. Chi crede in Dio, specie nel Dio musulmano, dovrebbe riflettere sul fatto avere un Dio serve soprattutto a delegare a Lui ogni decisione in fatto di vita e di morte: uccidere è dunque fuori discussione. Gli altri, per incominciare, si leggano qualche buon libro per capire che cosa succede nel mondo e, all’occorrenza, parlando con gli altri, evitare di ripetere gli slogan serviti dal gran mcdonald della politica.
Ecco il mio pensiero. Un pensiero così debole che mi è venuto da ridere subito dopo averlo pensato. Per un momento, però, mi ha fatto bene.
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