Che cosa si prova essere dei ladri matricolati? Non fate quelle facce: non vi sto accusando di rubare denaro o merci, gioielli o contanti, ombrelli o cappotti o, ancora, qualsiasi altra cosa non sia inchiodata al pavimento. Il furto di cui parlo, e del quale quasi certamente sia voi che io siamo colpevoli, è quello delle storie.
I dati di una ricerca lo confermano: grosso modo il cinquanta per cento delle persone, se interrogate in proposito, ammettono di aver rubato, almeno una volta nella vita, una storia. Sarebbe a dire che si sono appropriati di un aneddoto, di un’avventura, di una battuta o di una circostanza che, in realtà, appartiene a un’altra persona.
I ricercatori hanno dimostrato quanto questa pratica sia comune. Si ascolta una storiella divertente raccontata da un amico, un famigliare o un collega, la si apprezza, e automaticamente la si mette in deposito: verrà buona perché la si racconti a nostra volta. Solo che, nella nuova versione, i protagonisti saremo noi. Noi quelli che hanno visto un leone «da qui a lì», noi quelli che hanno ballato in discoteca con Charlize Theron, noi quelli che hanno vinto la mezza maratona di Johannesburg, noi quelli ai quali Tiger Woods ha detto «mi faccia un po’ rivedere il suo swing: è davvero perfetto».
La frequenza - innegabile - con cui ci appropriamo delle storie altrui (ma “altrui” per davvero? Chi ce le ha raccontate potrebbe benissimo averle rubate a sua volta) rivela tutte le insicurezze che ci perseguitano, ovvero il bisogno di essere ammirati e considerati, la necessità infantile di apparire nei titoli di testa della vita. La ricerca non va oltre le dimensioni dello spaccio di brillanti avventure altrui ma io, in modo del tutto empirico, mi sentirei di ipotizzare un fenomeno uguale e contrario: la cessione indebita di traversie nostre. Ovvero, la gaffe, l’incidente imbarazzante, il fallimento e la delusione da noi vissute ma fatte passare come accadute a terzi. Noi - ci mancherebbe! - restiamo quelli, perfetti e volitivi, dipinti dall’avventura rubata. Perfetti, volitivi e inesistenti.
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