Nel finale del film “8mm”, il detective Nicolas Cage riesce a mettere le mani sul tremendo assassino al quale stava dando la caccia, un criminale disposto a torturare e uccidere giovani donne davanti alla macchina da presa in film ultra-hardcore destinati a un selezionato pubblico di perversi miliardari.
Immobilizzato l’assassino, Cage gli sfila dalla testa il cappuccio che ne celava i lineamenti. Per un secondo o due - istanti ben catturati dal regista Joel Schumacher - egli rimane impietrito: il “mostro” non è affatto un mostro e ha la faccia un po’ banale di un uomo di mezza età (in realtà, quella di un ottimo attore: Chris Bauer).
Come tanti Nicolas Cage rimaniamo imbambolati, oggi, nello scoprire che il tagliagole superstar dell’Isis, l’uomo dei filmini reality-horror, pensati per terrorizzare, e non eccitare, il pubblico, viveva in una città industriale dell’Occidente e studiava informatica. Esistono perfino sue foto da ragazzino, dove lo vediamo sorridente e tutt’altro che sanguinario.
Credo sia un meccanismo di difesa scontato, perfino un po’ banale, ma necessario, quello che ci porta a proiettare il male fuori da noi stessi: sotto la maschera del tagliagole ci dev’essere un demonio, e non un uomo, un pazzo e non un “sano”, un mostro e non un tizio che ci assomiglia. È la stessa fascinazione un po’ ambigua che proviamo leggendo le vite di Hitler e Stalin: scopriamo che avevano mamme e famiglie, dipingevano paesaggi, accarezzavano cuccioli. Che cosa è successo, poi? Un giorno qualcosa deve averli posseduti e possedendoli li ha trasformati in esseri che noi non potremmo mai diventare.
Purtroppo, non è così. Certo, a molti di noi manca l’orrorifica ambizione necessaria a diventare un Hitler o anche solo un volgare fanatico tagliagole. E tuttavia non siamo al riparo assoluto dal male, che può arrivare a noi in modi sorprendentemente banali. Per evitarlo, bisogna essere sempre persone decenti. Il che è molto, ma molto più difficile di quanto si creda.
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