Ho cercato sopra e sotto, ho guardato dentro e fuori: niente. L’ho perfino agitata un po’, per vedere che non fosse rimasto impigliato da qualche parte: ancora niente.
Allora ho letto e riletto ad alta voce, come dicono bisogna fare quando si vuol prestare attenzione a ciò che si legge, seguendo la riga con il dito, in modo da non perdere una parola. Per la terza volta, niente.
È imbarazzante dirlo, ma potrei essere l’unico italiano per il quale la legge di bilancio non ha previsto un “bonus”. Forse il gabinetto, nel senso di Consiglio dei ministri, si è distratto per un momento, forse era stanco o doveva andare al gabinetto, non nel senso di Consiglio dei ministri: fatto sta che non c’è niente. Non posso pensare che si tratti di uno sgarbo deliberato: che cosa ho fatto, io, al governo per meritarmi questo insulto?
Ho scritto insulto e lo confermo. Avendo mancato di predisporre un bonus ad hoc per la mia persona, l’esecutivo implicitamente afferma che io non sono meritevole né di tutela né di sostegno, che nei miei confronti non è necessaria o auspicabile alcuna iniziativa di promozione e che se per caso osassi accennare a un patrocinio l’unica risposta di palazzo Chigi consisterebbe in una pernacchia.
Come ho già avuto occasione di dire, questa monumentale indifferenza del governo nei miei confronti - questo insulto, appunto - ha la bislacca caratteristica di rendermi felice. Non perché in generale sia fiero di non aver bisogno di aiuto - sarebbe peraltro tutto da vedere - ma per la ragione che quando lo Stato decide di aiutare qualcuno, costui dovrebbe senz’altro preoccuparsi. Più generi, fasce anagrafiche, tipologie di lavoratori, fasce di reddito, neonati e non ancora nati, quasi morti e non ancora morti i governi “tutelano”, meno i governi medesimi stanno facendo il loro mestiere e più si provano a mettere pezze sui loro fallimenti.
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