Il rapporto tra italiani e cultura è davvero particolare. Da una parte abbiamo il patrimonio artistico più abbondante del mondo e i convegni, le serate con l’autore, i cineforum, i dibattiti sono molto seguiti (specie quelli cui fa seguito un buffet); dall’altra, non si può dire che tutti maneggino i classici con la stessa disinvoltura del telefonino e, se non fosse per qualche serata in tv con Benigni (le ultime andate in onda con Auditel praticamente azzerato) per molti Dante sarebbe solo un tizio accigliato sull’etichetta di una bottiglia d’olio d’oliva.
Ecco dunque che appaiono degne di menzione quelle iniziative atte a invigorire la circolazione della linfa intellettuale nel corpo distratto del Paese. Ci riferiamo in particolare a una lodevolissima impresa che unisce gli ospedali della Marsica, quella particolare fetta d’Abruzzo che fa capo alla storica cittadina di Avezzano (L’Aquila): riferisce la stampa locale che i pazienti potranno riempire «i lunghi giorni di degenza» con «narrativa, storia, poesia o, più semplicemente di parole che alleggeriscano il peso della permanenza in reparto».
L’idea, ci sia consentito dirlo, è geniale. Laddove fallisce la scuola ecco intervenire, con decisione, la sanità. Il vantaggio degli ospedali rispetto alle tradizionali istituzioni didattiche è evidente: la scuola, per essere efficace, richiede un minimo di collaborazione da parte dello studente. Il degente, al contrario, è alla completa mercé dell’istituzione. Sarà cinico dirlo, ma il momento non c’è momento migliore di quello in cui l’italiano medio è costretto a letto, totalmente dipendente da un medico e da un’infermiera, per tenerlo fermo e inculcargli un poco di cultura:«Stia buono che le stringo i Promessi Sposi: ecco fatto»; «Non si muova altrimenti dall’”Amica risanata” passiamo direttamente ai “Sepolcri”». Senza contare il potenziale anestetico di tanta cultura: due grammi di Fenomenologia dello Spirito e il paziente è pronto per il tavolo operatorio.
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