Poco da ridere

Non è la prima volta che un Papa si "dimette": era già successo, solo per citare due casi, con Gregorio XII nel 1415 e con Celestino V (quello del «gran rifiuto») nel 1294. Che un fatto si ripeta non significa tuttavia che lo faccia esattamente nello stesso modo.

Nel 1415 non poteva accadere certamente ciò che è accaduto ieri: ovvero che la notizia, diffusa dopo le 11 del mattino in Italia, raggiungesse in pochi istanti ogni angolo del mondo diventando, all’istante, materia per battutisti, satirici, zuzzurelloni e spiritosi in servizio permanente effettivo.

Da sempre, credo, le vicende del grandi della Terra hanno alimentato arguzie e motti di spirito. Un diritto che, nella sua condizione "inferiore", il popolo ardiva arrogarsi per smitizzare, e di conseguenza alleviare, il peso della sottomissione. Una reazione, la leggerezza di fronte al passaggio della Storia, che evidentemente è rimasta nei nostri geni. Non si spiegherebbe altrimenti, infatti, la quasi istantanea ondata di spiritosaggini, battutine, paradossi, giochi di parole, motteggi e sberleffi che, all’annuncio della decisione di Benedetto XVI ha percorso, se non tutto il mondo, certamente la Penisola, in una serrata competizione a chi dissacrava - è il verbo giusto - di più e con più gusto.

Ma rispetto al passato, oggi delle battute da strada resta traccia praticamente indelebile: l’affollarsi dei tweet, dei post su Facebook, delle foto ritoccate con Photoshop ha messo ognuno di noi di fronte al prodotto della futilità individuale e al volume della stupidità collettiva.

Chi l’avrebbe detto? Un popolo di santi, poeti, navigatori e umoristi. E allora sotto con "Silvio prendi il suo posto", "vivo un Papa se ne fa un altro" e "c’aveva ragione Nanni Moretti" in un crescendo che mi ha lasciato attonito, non tanto per scandalo, quanto per una domanda, mi sembra, legittima: come mai se siamo tutti spiritosi alla fine c’è così poco da ridere?

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