Polemica con il morto

Ricordato nella camera ardente come l'uomo del «non ci sto!», l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro avrebbe una ragione in più per passare alla Storia. Al suo nome, infatti, si può legare il primo vistoso esempio di violazione di un tacito patto sociale: quello che assicura ai morti le buone parole dei vivi. In altri termini, è costume mescolare alle parole di cordoglio per un caro estinto espressioni di apprezzamento per la sua attività in vita e trattenersi, se il caso, dal rivangare polemiche e risentimenti sui quali la morte, inappellabile, ha già comunque posto il sigillo.

Così non è stato per Scalfaro. In nome di un presunto disprezzo dell’ipocrisia, alcuni tra gli ultimi avversari dell’ex capo dello Stato hanno approfittato della sua dipartita per reiterare nei suoi confronti accuse e giudizi malevoli, mentre altri hanno elogiato il silenzio di Berlusconi trasformandolo così da muta astensione a sonora contrapposizione.

Devo dire che se qualcuno avesse desiderio di darmi dello str... preferirei lo facesse subito piuttosto che al mio funerale. Si dirà: gli avversari di Scalfaro lo infamavano anche quando era vivo, proseguire nell’attività anche dopo la sua morte è soltanto coerenza. Questo è talmente vero da essere banale e diventa, per paradosso, un clamoroso errore. Quello che commette chi non distingue tra ipocrisia e rispetto. E viola il primo comandamento del gentiluomo: non fare sul cadavere altrui quello che non vorresti venisse fatto sul tuo.

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