Poveri noi

Date un’occhiata alla carta che, in una forma o in un’altra, vi circonda, chiudete gli occhi e immaginate non ci sia più. Ora riaprite gli occhi: potreste scoprire che la vostra immaginazione si è tramutata in realtà.

Il fenomeno - è bene precisarlo - riguarda la carta stampata e assume particolare verosimiglianza da quando, non più tardi di ieri, lo storico settimanale americano "Newsweek" ha annunciato che, dal gennaio del prossimo anno, raggiungerà i suoi lettori solo in forma digitale. Non voglio pensare, qui, alle (significative) conseguenze di ordine occupazionale, pubblicitario e giornalistico che la mossa comporta. Vorrei solo interpretare la decisione di Newsweek come un pesante indizio dell’avviata transizione dalla carta al digitale nel mondo dell’editoria.

Ho l’impressione che, nel leggere la notizia, il pensiero corra subito ai lettori e tenda a simpatizzare con loro. Riusciranno i più maturi ad accettare il nuovo formato? Come modificheranno le loro abitudini in ragione delle opportunità, e dei limiti, che il digitale proporrà loro?

Io, invece, rivolgo un pensiero a chi, fino ad oggi, ha scritto per vedersi stampato. Riusciranno gli autori  - scrittori, saggisti, giornalisti - a fare a meno dell’appoggio che, in anni e anni di fedele cooperazione, la carta ha fornito loro? Mi spiego: avete mai pensato a quanto, nella forza di un libro, conti la qualità e la consistenza della carta, il formato e il peso dell’oggetto, il colore e la scabrosità (o levigatezza) della copertina? Per me, certi autori sono legati indissolubilmente alle edizioni in cui li ho scoperti: leggerli altrove, su carte e in caratteri "estranei", mi dà una sensazione di bizzarro straniamento. Il passaggio al digitale priverà gli autori di questo silenzioso, misconosciuto, apporto. Potranno contare solo sulle loro parole. Poveri noi.

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