Siamo tutti preoccupati per il futuro. Lo stiamo per costituzione fisica, se vogliamo: preoccuparsi è una tecnica di sopravvivenza e di che cosa preoccuparsi se non del futuro? C’è però chi non si accontenta di una generica apprensione per ciò che verrà e si concentra su paure specifiche: che fine farà il nostro Paese se l’«invasione» degli immigrati continuerà? Saremo tutti musulmani? E la famiglia? Chi difenderà la famiglia? Saremo tutti gay?
Insomma, costoro “vedono” un futuro nero e non solo genericamente nero, ma nero per ragioni precise. Nell’oggi “vedono” ragioni per disperare nel domani.
Ebbene, è molto probabile che sbaglino. Non tanto perché le loro paure sono discutibili - e lo sono - quanto perché molti di loro il futuro non lo “vedranno” affatto. La questione non è solo anagrafica: a impedire la loro “visione” interverrà dell’altro. Un articolo nel Lancet Global Health annuncia che entro il 2050 l’incidenza della cecità nel mondo si sarà triplicata. «I casi - questa la previsione - passeranno dagli attuali 36 milioni a circa 115. L’unico modo per evitarlo, al momento, è finanziare la ricerca».
Non c’è nessun mistero in questo repentino incremento della cecità: si prevede infatti che la popolazione anziana nei prossimi decenni aumenterà e di molto e dunque più persone saranno soggette ai disturbi della vista. Ecco qui un altro bel motivo di preoccupazione per il futuro. Possiamo forse ignorarlo? Non sarebbe forse colpevole cecità? O forse soltanto prematura.
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